Sabato 18 Maggio 2024

15.04.09 054 Sigmundsherberg, cimitero di guerra italiano - CopiaPer capire il senso – o il non senso – di una guerra può essere utile la visita al cimitero di guerra di Sigmundsherberg. Si trova nel Waldviertel, una regione della Bassa Austria, non molto distante dal confine ceco. Qui riposano oltre 2400 caduti, di cui 2.363 sono italiani. È probabilmente il più grande cimitero di guerra di soldati italiani in territorio austriaco e ciononostante quasi nessuno ne conosce l’esistenza, forse perché appartato e non facile da raggiungere.

Di solito i cimiteri di guerra si trovano in prossimità del fronte. Quello di Sigmundsherberg, invece, ne dista alcune centinaia di chilometri. Le salme che accoglie non sono infatti di caduti in combattimento, ma di prigionieri italiani, morti di stenti e di malattie.

A Sigmundsherberg, infatti, sorgeva un campo di internamento per prigionieri. All’inizio era stato concepito per quelli russi. Poi su quel fronte la guerra era finita, mentre incominciavano a giungere prigionieri dal fronte italiano, in numero sempre maggiore. Le baracche dell’insediamento iniziale potevano ospitare fino a 30.000 uomini, ma subito fu necessario aumentarne il numero, per portarne la capacità a 40.000.

Anche quella quota fu presto superata. I rapporti della direzione del campo al Ministero della guerra segnalano al 3 ottobre 1916 la presenza di 56.000 uomini e la guerra sul fronte italiano è appena al primo anno. Dopo la dodicesima battaglia dell’Isonzo la situazione diventerà insostenibile. Sigmundsherberg dovrà aprire le porte fino a 120.000 uomini, costretti a vivere in spazi sempre più ristretti, con letti a castello a tre piani, per far posto a tutti.

Non si deve tuttavia immaginare quel campo di prigionia come un inferno, assimilabile ai lager della Seconda guerra mondiale. Qui ai prigionieri veniva riservato un trattamento nel rispetto delle norme internazionali. C’era una chiesa, c’era un teatro, c’era un ospedale, c’erano locali messi a disposizione dei prigionieri, dove quelli più istruiti potevano tenere corsi per la gran parte dei soldati semianalfabeti. Venivano regolarmente distribuiti i pacchi viveri e la posta in arrivo dall’Italia, tramite la Croce rossa. E all’ufficiale più alto in grado era consentito inoltrare reclami o richieste a Vienna, che ottenevano regolare risposta.

I militari, inoltre, trascorrevano gran parte della giornata al di fuori del campo, aiutando nei lavori dei campi i contadini della zona. Chi scrive ha raccolto la testimonianza di una donna di Padova, figlia di uno di questi prigionieri. Il padre le aveva riferito dell’accoglienza e del calore umano con cui era stato trattato dalla popolazione, che aveva diviso con lui le poche cose da mangiare di cui disponeva.

Negli ultimi mesi di guerra, tuttavia, la situazione si era fatta catastrofica per i prigionieri, ma anche per la popolazione civile. Non c’era più nulla da mangiare, non c’era più legna per riscaldare le baracche. La moria di quei giorni si spiega così. Il campo di prigionia si stava trasformando in un grande cimitero.

Cento anni dopo dell’immenso campo di Sigmundsherberg non è rimasta traccia. Le baracche e gli steccati,  che occupavano una superficie più grande dello stesso paese, sono stati rimossi. È rimasto il cimitero, distante un paio di chilometri dall’abitato. I caduti riposano sotto un prato verde grande quanto un campo di calcio, in una fossa comune su cui sono state collocate qua e là grandi croci di pietra. L’area è circondata da alberi e siepi. Su un lato, una cappella espone alle pareti pannelli di bronzo, con i nomi in rilievo dei sepolti, in rigoroso ordine alfabetico. Al centro, un monumento votivo, in forma di donna seduta. Cappella e monumento furono realizzati dagli stessi prigionieri, in memoria dei commilitoni defunti. Sul piedestallo della statua, lo scultore ha lasciato il suo cognome: Matteucci da Lucca. Anche lui non sopravvivrà alla prigionia: ritroviamo il suo nome su uno dei pannelli di bronzo, accanto agli altri deceduti.

Ai piedi del monumento sono deposte due corone: una è della Croce nera austriaca, l’altra è del Comune Sigmundsherberg. I nastri che le adornano hanno i colori della bandiera austriaca. Mancano i colori di quella italiana. Cento anni dopo l’Austria non solo ha cura del cimitero in cui sono sepolti i suoi “nemici”, ma rende anche omaggio alla loro memoria.

 

NELLA FOTO, il cancelletto d’ingresso al cimitero dei prigionieri di guerra italiani di Sigmundsherberg.

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