Sabato 18 Maggio 2024

Danilo Türk, capo di Stato della Repubblica slovena, ha recentemente proposto all’Italia la costruzione di un comune “parco della pace”, da Caporetto a Duino, esteso cioè a quella striscia di terra europea insanguinata dalla prima guerra mondiale. L’idea è stata raccolta da Enzo Bettiza, che ne ha scritto in un articolo su “La Stampa” e ne ha parlato al Quirinale, in un intervento tenuto il 10 febbraio scorso nella commemorazione della Giornata del ricordo. Si dice che il presidente Napolitano, che lo ascoltava, ne condivida le ragioni.

Ferruccio Tassin, coordinatore dell’associazione “Terre sul confine”, ha colto al balzo la suggestiva proposta, aggiungendo: perché da Caporetto a Duino e non anche fino a Visco? Tassin e la sua associazione, come i lettori di questo blog sanno, si sono fatti promotori da tempo della conservazione e valorizzazione della caserma Piave di Visco, che ebbe funzioni differenti nella prima e nella seconda mondiale, per le quali, a buon diritto, potrebbe rientrare nel “parco della pace”. Nell’intervento che segue, ce ne spiega le ragioni.

* * *

11.02.19 V_2008-01-14_PR-ITALIJE-NAPOLITANO-02_BOBOAutorevoli proposte: un parco della pace? Bene! Fino a Duino? Tiriamolo più in qua: fino a Visco, piccolo paese in provincia di Udine (ma si dovrebbe pensare a Gonars, tenendo conto di Sdraussina). Ragioni e motivi? Tutti! Persino l’episodio risorgimentale: battaglia tra insorti del generale Zucchi e avanguardie austriache del Nugent, 18 aprile 1848, e incendio di 4/5 delle case.

Saltando il tempo, qui fu allestito un ospedale da campo: 1000 posti letto – in tenda – nella grande guerra (finirono la vita anzitempo, tra 500 e 600 soldati italiani, austroungarici e gente della Contea di Gorizia…). Nel cimitero militare riposarono insieme intorno ai 1.100 soldati. Dal 1917 al 1923 vi fu “Borgo Piave” (il toponimo rimane) per 400 profughi dei paesi rasi al suolo lungo quel fiume. Da gennaio a settembre ‘43: campo di concentramento fascista; dietro al filo spinato 3-4000 jugoslavi (sloveni, croati, bosniaci, herzegovini, e montenegrini che vi ricostruirono il Battaglione Orien, protagonista della Resistenza).

Dopo, deposito della Wehrmacht, teatro d’audace operazione di commando del Gap. Nel 1945, disarmati dagli inglesi, 15-20.000 cetnici. Da qui, nel ‘47, partirono finanzieri e carabinieri che andarono a riprendere possesso di Gorizia. E fu caserma sino al 1996. Non basta: il cuore logistico del campo fascista è intatto (unico in Italia), con tutti gli edifici (dal comando alle cucine, corpo di guardia, mensa ufficiali, magazzini, docce). Sicché spazi infiniti, così importanti da essere vincolati dalla Soprintendenza (circa 70.000 metri quadrati). Di più, luogo emblematico di valenza europea: incontri e scontri, nefandezze, aspetti positivi, che visse per cinque secoli sul confine fra cultura latina a ovest e slava, tedesca e ungherese a est (il confine più recente è stato un sospiro del tempo). Al campo si è interessata la Presidenza della Repubblica e più volte è intervenuto lo scrittore Boris Pahor chiedendone conservazione e valorizzazione. Proposte ci sono, questo è il momento. C’è pure un notevole edificio storico ancora in piedi: l’ex dogana austriaca. Mancano “solo” progetti e fondi!

Nella foto, il presidente sloveno Danilo Türk in occasione dell’incontro con il capo dello Stato italiano Giorgio Napolitano

Lascia un commento