Domenica 3 Novembre 2024

Ci risiamo. Gli austriaci si trovano a dover affrontare (ma non sono obbligati a farlo) una nuova “lenzuolata” di referendum. Sono addirittura sei, tutti in una volta, e riguardano temi molto differenti tra loro.

In realtà non sono referendum come li intendiamo noi in Italia, ma “Volksbegehren” (“consultazioni popolari”). In Austria esistono tre forme di democrazia diretta, che presentano meccanismi diversi di svolgimento e effetti giuridici diversi per il legislatore. Per alcuni sarà obbligato a tenerne conto, per altri dovrà soltanto discuterne e poi decidere liberamente il da farsi. Per saperne un po’ di più rinviamo a uno degli articoli che avevamo scritto cinque anni fa sull’argomento.

Le consultazioni popolari in corso rappresentano la forma meno impegnativa di democrazia diretta: i cittadini-elettori saranno chiamati a sottoscrivere i sei documenti (non necessariamente tutti, solo quelli di cui condividono il contenuto) e se saranno raggiunte le 100.000 firme il Parlamento sarà obbligato a discuterne. Ma non sarà obbligato ad accogliere e a dare esecuzione alle richieste-proposte in essi contenute.

Come avevamo scritto cinque anni fa, finora in Austria ci sono state decine di “Volksbegehren”, ma soltanto a uno il legislatore ha dato seguito. Gli altri sono finiti nel cassetto e sono ancora lì. Molto probabilmente avranno la stessa sorte i sei nuovi documenti di cui stiamo parlando. E allora perché proporli, quando se ne conosce già l’esito? Probabilmente perché per i proponenti è già importante che se ne parli, che ne scrivano i giornali, che qualche canale radiotelevisivo ne discuta.

Vediamo allora i contenuti di questi nuovi “Volksbegehren”.

Il primo si intitola “Più democrazia”: si chiede di rafforzare lo strumento della democrazia diretta, consentendo che i “Volksabstimmungen” possano essere anche di iniziativa popolare. A differenza dei “Volksbegehren” (consultazioni popolari con raccolta di firme), i “Volksabstimmungen” sono referendum veri e propri, che assomigliano a quelli italiani e sono quindi vincolanti per il legislatore. In Austria furono decisi con questa forma di democrazia diretta il “no” all’uso di energia nucleare e l’ingresso nell’Unione Europea. Questo genere di referendum attualmente può essere indetto solo dal Parlamento su una proposta di legge sulla quale gli elettori sono chiamati a esprimersi con un “sì” o un “no”. Con la consultazione in atto si chiede che in futuro i “Volksabstimmungen” possano essere indetti anche dai cittadini.

Nello stesso documento si chiede, anche, che i membri del governo siano eletti direttamente dai cittadini e che sia abbassata la soglia d’ingresso al Parlamento. Attualmente possono essere rappresentati in quell’aula soltanto i partiti che hanno superato alle elezioni il 4% dei consensi. Per questo i gruppi parlamentari sono soltanto sei (e in Carinzia, dove la soglia è del 5%, sono soltanto quattro). Abbassando quella soglia, potrebbero trovare rappresentanza anche gruppi politici minori. Si finirebbe però come in Italia, dove i partiti rappresentati sono una cinquantina.

La seconda consultazione riguarda l’ora legale. Si chiede che diventi fissa per tutto l’anno e non soltanto nei mesi estivi. Lo scopo è di sfruttare al meglio la luce solare, soprattutto nei luoghi di lavoro. Il problema è che, dopo la consultazione, il Parlamento dovrebbe varare una legge ad hoc, ma non potrebbe farlo senza che ci sia una soluzione concordata a livello europeo.

Il terzo referendum riguarda il canone radiotelevisivo, che in Austria è molto più elevato che in Italia (varia da Land a Land e si aggira sui 300 euro all’anno). In realtà, ora il canone non si paga più, perché è stato sostituito da un’imposta di importo analogo, pagata da tutti, anche da chi non ha né radio, né televisore. I promotori di questo referendum hanno ritenuto di proporlo comunque, perché l’obiettivo è di eliminare qualsiasi balzello su radio e tv, sia che si tratti di canone, sia che si tratti di un’imposta sostitutiva.

Il quarto referendum riguarda l’uso del denaro contante. Si chiede che non vi sia alcun tetto all’impiego delle banconote e che il mantenimento del contante sia garantito durevolmente da una legge costituzionale. La tutela del contante era già contenuta in un precedente referendum svoltosi lo scorso anno, che aveva raccolto oltre un milione di firme (dieci volte quelle richieste), ma poi il Parlamento non ne aveva tenuto conto. Non c’è ragione per credere che anche il nuovo referendum, che ripropone la richiesta, non abbia la stessa sorte.

Un quinto referendum chiede che la catena di produzione e di distribuzione delle merci sia resa pubblica. In altre parole, che sulle confezioni dei prodotti sia indicata analiticamente la provenienza degli ingredienti e dei vari processi di trasformazione, fino al loro arrivo sugli scaffali dei negozi. Lo scopo dei promotori è di garantire in questo modo “il rispetto dei diritti delle persone, degli animali e dell’ambiente”. La mancanza di queste indicazioni dovrebbe comportare sanzioni per gli inadempienti.

L’ultimo referendum è intitolato “Assicurare una giustizia indipendente”. È quello che tutti i cittadini vogliono, ma ciascuno ha una soluzione diversa. I proponenti della consultazione hanno articolato la richiesta in tre punti. Nel primo si chiede l’istituzione di un giudice per le indagini preliminari, che sia competente per l’emissione di decreti e provvedimenti nel corso degli accertamenti di polizia che precedono il giudizio.

Nel secondo punto si chiede che la Procura anticorruzione sia ancorata alla Costituzione. Diventi, cioè, un organo del sistema giudiziario di rango costituzionale e in tal modo non condizionabile da altri uffici della magistratura. Attualmente la Procura anticorruzione (il titolo preciso in tedesco è “Wirtschafts- und Korruptionsstaatsanwaltschaft”) è allo stesso livello delle altre procure, ma con il compito specifico di indagare su reati finanziari e di corruzione.

Nel terzo e ultimo punto si chiede che i Procuratori dello Stato (corrispondono ai nostri Procuratori della Repubblica) siano indipendenti e non sottoposti amministrativamente al ministro della Giustizia.

I testi dei sei quesiti referendari sono disponibili in rete e in tutti gli uffici comunali. I cittadini potevano apporre la loro firma da lunedì scorso e potranno continuare a farlo fino al 24 aprile. Si può firmare negli uffici di tutti i Comuni, ma anche on line.

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