Sabato 18 Maggio 2024

13.11.28 Rose del ricordo 20070423141437__L1O3607Nel 2006 il movimento austriaco “A letter to the stars” (lettera alle stelle), promotore di iniziative per sensibilizzare i giovani sulla tragedia dell’Olocausto, aveva indetto la manifestazione “Rose del ricordo”. Gli studenti di tutta l’Austria erano stati invitati a individuare nelle loro città e nei loro paesi la casa in cui prima del nazismo aveva abitato una famiglia ebrea e a deporvi una rosa bianca sulla soglia, in ricordo delle sue vittime. La “rosa del ricordo”, appunto.

 

Ne furono raccolte 80.000 e prima della deposizione furono portate in piazza Santo Stefano a Vienna. Fu un evento di grande impatto emotivo per la solennità del luogo, per la suggestione creata da quella marea di rose bianche, per le testimonianze che vi furono portate. Testimonianze di scolari e di superstiti della follia nazista, da essi rintracciati in Austria e altrove nel mondo. Tra queste, vi fu anche quella di Fritz Rubin-Bittmann. La riproponiamo, assieme ad alcune altre lette in pubblico in quella circostanza.

 

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Il mio nome è Fanny Mendelsohn, sono alunna del Lauder-Chabad Campus di Vienna Leopoldstadt. Trentamila uomini di questo distretto furono assassinati dai nazisti. Oggi noi deporremo 44 rose davanti alla casa di Zirkusgasse 37. Così tante sono le persone che soltanto da questa casa furono deportate e annientate. In un nascondiglio nella cantina di Zirkusgasse 37 però, nell’autunno 1944, in mezzo alla Vienna nazionalsocialista, venne al mondo un bambino ebreo: Fritz Rubin-Bittmann.

 

Il mio nome è Fritz Rubin-Bittmann, ho 61 anni (l’età è riferita al 2006, anno in cui avvenne la manifestazione, ndr). Io sono qui oggi per rappresentare i miei genitori Josef e Sidonie, che poterono sopravvivere a Vienna come cosiddetti “U-Boote”, e tanti altri uomini ancora che la vita nella clandestinità ha consentito di sopravvivere mentre era in corso l’Olocausto. E io sono qui anche per rappresentare coloro che non hanno fatto finta di non vedere, ma ci hanno aiutato. Ed erano uomini. Hanno salvato la vita a me e a centinaia di altre persone nascoste. E anche voi oggi potete dare il vostro aiuto, se non fate finta di non vedere, ma invece intervenite per gli uomini che ne hanno bisogno o sono minacciati. Dimostrate coraggio civile, ovunque ve ne sia bisogno”.

 

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Il mio nome è Alexander Sperl, sono allievo del Realgymnasium di Perchtoldsdorf. Insieme con Cecilia Kornbluth, noi porteremo oggi rose bianche in Leystrasse 23. Queste rose ricorderanno i membri della sua famiglia assassinati, come suo padre, che nel 1942 fu ammazzato ad Auschwitz. Cecilia Kornbluth oggi è venuta appositamente a Vienna da San Francisco, in California.

 

Il mio nome è Cecilia Kornbluth. Io sono qui per rappresentare quei circa 130 mila austriaci che furono perseguitati, che fuggirono o poterono emigrare e che dopo la guerra non furono mai invitati a fare ritorno. Io sono venuta qui oggi dalla California, perché ho avuto notizia della vostra iniziativa e io, come tanti che sono sopravvissuti e oggi vivono dispersi per il mondo, ne sono rimasta molto toccata. È molto bello che voi giovani, che oggi avete l’età che noi avevamo allora, quando fummo cacciati dall’Austria, cerchiate di trarre insegnamento dalla storia. Il vostro progetto è per noi come una sorta di riappacificazione.

 

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Il mio nome è Ines Erberharter, sono allieva dell’Istituto commerciale di Kufstein. Noi abbiamo potuto conoscere nella nostra scuola Johann Gross (è uno dei pochissimi sopravvissuti al progetto di eutanasia del nazismo, ndr). Noi oggi deporremo rose bianche allo Spiegelgrund (l’ospedale psichiatrico di Vienna dove furono condotti esperimenti medici su bambini handicappati, ndr), dove tra il 1940 e il 1945 furono uccisi non meno di 789 bambini e giovani.

 

Il mio nome è Johann Gross, ho 75 anni. Io sono qui oggi per rappresentare quelle migliaia di uomini, che furono assassinati a causa dei loro handicap, in quanto dichiarati dai nazisti “vite non degne di essere vissute”, senza valore, inutili. Io sono qui oggi per rappresentare tutti quei bambini e quei giovani, che furono torturati e uccisi per scopi scientifici, semplicemente perché essi, come me, erano socialmente svantaggiati.

 

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Il mio nome è Anna da Silva, sono allieva del ginnasio della Kudmanngasse. Due anni fa abbiamo conosciuto Leo Bretholz, quando venne nella nostra scuola. Noi lo accompagneremo oggi all’ultima dimora di sua madre e delle sue sorelle. Il messaggio di Leo Bretholz a noi dice: “E’ importante che il ricordo non muoia”. E di questo intendiamo farci carico.

 

Il mio nome è Leo Bretholz. Quando avevo 17 anni e arrivarono i nazisti ci furono vicini di casa che improvvisamente non ci riconobbero più e amici che mi sputarono in faccia. Mia madre e le mie sorelle furono assassinate. Io sono sopravvissuto soltanto perché mia madre mi fece fuggire poco prima che fosse arrestata. Mi abbracciò e mi disse: adesso devi andare.

Durante la fuga verso il Lussemburgo, il Belgio e la Francia fui catturato e infine messo su un treno merci per Auschwitz. Penso ancora ai miei compagni di viaggio: a un vecchio che pregava un dio invisibile, al mio amico Albert, che cantava una struggente canzone popolare italiana, al bimbetto seduto sul grembo di una anziana donna, a Manfred che mi aveva esortato a fuggire da quel treno: “Chi altrimenti potrà raccontare la nostra storia? Va’ ora! Va’!”.

Dopo la guerra sono andato in America, dove ho lavorato per vent’anni come libraio. Ho sempre taciuto la mia storia. Ora però non voglio più tacere. Le ultime parole di mia madre furono: “Non dimenticare mai chi tu sei!”. Io sono un ebreo.

 

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Il mio nome è Agnes Platt. Sono allieva del ginnasio di Perchtoldsdorf. Nei giorni passati ho avuto l’opportunità di accompagnare Paula Rosse e ho molto appreso da lei. Noi oggi deporremo rose bianche in quella casa nella Margaretenstrasse, dove aveva abitato il ragazzo che lei amava, prima che fosse deportato e ucciso.

 

Il mio nome è Paula Ross, ho 90 anni. A 14 anni ho conosciuto l’amore della mia vita. Il suo nome era Georg Helmut Schlosser. Nel 1939 lui aveva 17 anni. Io ne avevo 19, quando riuscii a fuggire dall’Austria e dovetti lasciare la persona che amavo. Le sue tracce le ho perse in un piccolo villaggio della Polonia; è probabile che Georg sia stato fucilato là, in un bosco. Oggi sono qui, per deporre assieme ad Agnes una rosa davanti alla sua ultima residenza. E voi, che oggi siete qui, fate di questo momento uno dei più commoventi della vostra vita. Grazie.

 

Nella foto, la piazza del Duomo di Santo Stefano, a Vienna, ricoperta nel 2006 dalle “rose bianche del ricordo”.

 

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