Sabato 18 Maggio 2024

14.07.30 Bad Ischl, residenza estiva di Francesco GiuseppeEra davvero una calda estate quella di cento anni fa, non come la nostra di oggi, che assomiglia più a un anticipo di autunno. I giornali del luglio 1914 danno conto delle temperature dell’aria nelle principali città dell’impero absburgico, con i valori record di Salisburgo e Zagabria, 30,1 gradi, e di Vienna, addirittura 31,8. Nella capitale si muore di caldo in quel 23 luglio di cento anni fa, il giorno in cui il barone Wladimir Giesl von Gieslingen, ambasciatore austriaco a Belgrado, consegna al governo serbo l’ultimatum di Vienna, tradotto, come d’uso all’epoca, in francese. Ma i viennesi sanno poco o nulla dell’ultimatum e non hanno alcun presentimento della guerra che scoppierà di lì a 5 giorni. Chi può permetterselo prende il sole in riva all’”Alte Donau”, il ramo secondario del grande fiume che rappresenta la spiaggia della capitale.

Herbert Lackner, caporedattore di “Profil”, si occupa normalmente di politica interna, ma in questi ultimi mesi ha dedicato ogni settimana due pagine del suo periodico per ricostruire la vita di ogni giorno di Vienna e dell’impero di un secolo fa. Un conto alla rovescia, settimana per settimana, fino al giorno fatale. Un racconto che ci ha affascinato, perché in sintonia con il nostro mestiere, che non è quello di storici, ma di cronisti.

Il cammino di Lackner ci ha accompagnato così all’ultima settimana, quando ormai i giochi sono fatti. Riferisce dell’ultimatum, approvato dal consiglio dei ministri in seduta segreta. È una domenica. Il giorno dopo il ministro degli esteri, conte Leopold Berchtold, si mette in viaggio per Bad Ischl, dove l’imperatore è in villeggiatura. Il testo deve ricevere la benedizione del sovrano. Quel che si dicono i due lo si saprà soltanto anni dopo, nelle memorie del Berchtold. “La nota è molto dura”, è il commento dell’imperatore alla bozza di ultimatum. “Ma ciò era necessario, maestà”, replica il ministro. Francesco Giuseppe ha un attimo di esitazione, ma poi approva: “Sì, era proprio necessario. Lei mangia con noi?”.

La “nota” sembra molto dura a tutti, non soltanto all’imperatore austriaco. Del resto è concepita proprio perché non possa essere accettata dalla Serbia. “È il documento più tremendo che mai sia stato consegnato da uno Stato a un altro Stato sovrano”, è il commento del ministro degli esteri britannico Edward Grey. E il collega russo Sergei Sazonow ne trae la conclusione: “Questo significa guerra”.

I dialoghi riferiti da Lackner sono tratti dai documenti delle cancellerie, mentre i giornali dell’epoca hanno altro di cui occuparsi. Il corrispondente da San Pietroburgo della “Reichpost” riferisce di violenti scontri nelle strade tra 120.000 operai che protestano e la polizia. Si contano sei morti e un numero imprecisato di feriti. Il giornalista austriaco commenta: “Un nuovo vulcano in Russia!”. Non immagina ancora quale altro vulcano sta rumoreggiando in patria.

Il caldo torrido di quei giorni si tramuta il 24 luglio in devastanti temporali, che colpiscono tutta l’Europa Centrale. A Budapest i fulmini e un uragano causano 7 morti e 39 feriti in pericolo di vita. A Fiume un uomo affoga davanti al porto, nella sua barca a vela che si capovolge per le raffiche di vento. Un treno della linea Vienna-Pressburg (oggi Bratislava) deraglia a causa del vento impetuoso. Tetti scoperchiati ad Hainburg.

Il 25 luglio fa di nuovo caldo. Fa caldo soprattutto a Belgrado, dove alle 18 il presidente del consiglio convoca l’ambasciatore austriaco per comunicargli la risposta del governo serbo all’ultimatum: nove delle dieci condizioni poste da Vienna sono state sostanzialmente accolte. Ma l’ambasciatore non si accontenta. Come abbiamo riferito in questo blog due giorni fa, ha l’ordine di rompere comunque le relazioni diplomatiche con la Serbia e di ripartire immediatamente per l’Austria, con tutta la legazione diplomatica, perché la guerra è già stata decisa, indipendentemente dalla risposta di Belgrado.

Sono ore di grande fibrillazione in tutti gli stati maggiori d’Europa, fuorché in quello serbo. Il generale Radomir Putnik, capo supremo delle forze armate, proprio in quei giorni si trova con la figlia alle terme di Bad Gleichenberg, in Stiria. Quando ha notizia dell’ultimatum, fa immediatamente ritorno in patria, ma a Budapest viene fermato dai servizi segreti absburgici e fatto scendere dal treno. La guerra non è ancora iniziata, ma Putnik viene dichiarato anticipatamente “prigioniero di guerra”. L’esercito serbo si trova così privo del suo comandante prima ancora di aver sparato un solo colpo.

La notizia viene comunicata a Francesco Giuseppe, che reagisce in piena coerenza con il suo concetto un po’ fuori dal tempo di lealtà e onore militare: ordina l’immediata liberazione del generale serbo, che viene riportato a Belgrado con un treno speciale, perché da là possa impartire gli ordini all’esercito contro cui tra un paio di giorni si troverà a combattere quello austro-ungarico.

Si giunge così al 28 luglio con la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia. Nella notte tra il 29 e il 30 luglio lo zar Nicola ordina la mobilitazione generale delle sue forze armate. Il giorno seguente la Germania chiede in tono ultimativo alla Russia di revocare la mobilitazione. Ciò non avviene e di conseguenza il 1. agosto la Germania a sua volta dichiara guerra alla Russia. Il 3 agosto anche la Francia entra in guerra contro la Russia, seguita il 4 agosto dalla Gran Bretagna. Il 5 agosto il Montenegro dichiara guerra all’Austria e il 6 agosto l’Austria dichiara guerra alla Russia. Il cerchio si chiude l’11 e il 12 agosto, quando rispettivamente anche Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra all’Austria.

Manca soltanto l’Italia, che ci penserà un anno prima di entrare in guerra, decidendo però all’ultimo momento di cambiare alleati.

 

NELLA FOTO, la residenza estiva dell’imperatore Francesco Giuseppe a Bad Ischl. Si trovava qui in villeggiatura, quando fu sottoposto alla sua firma l’ultimatum alla Serbia.

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