Sabato 18 Maggio 2024

14.07.28 IstvanTisza con l'imperatore Francesco Giuseppe - CopiaLa Grande guerra per l’Italia incomincia nel 1915, per l’Austria già il 28 luglio 1914. Proprio oggi, cento anni fa.

Si discute sulle responsabilità di quel conflitto e c’è chi, come lo storico Christopher Clark ha scritto un libro dal titolo “I sonnambuli” (di 736 pagine, nell’edizione italiana Laterza) in cui sostiene che tutte le grandi potenze di allora furono egualmente responsabili dell’immane tragedia. La sua tesi, tuttavia, non è condivisa dagli austriaci, benché parzialmente assolutoria nei loro confronti (tutti colpevoli, nessun colpevole).

La questione è stata affrontata in questi giorni in un sondaggio dell’istituto Unique e il risultato è che il 36% degli austriaci ritiene che la guerra sia scoppiata a causa della  Serbia, il 31% a causa della monarchia absburgica, il 14% a causa dell’impero germanico. Soltanto il 12% chiama in causa le altre potenze europee (Francia, Gran Bretagna, Russia), mentre il 25% non ha dato risposte.

Un sondaggio è un sondaggio, ovviamente. Non serve a individuare le cause effettive della guerra, ma a verificare quale idea ne hanno gli austriaci di oggi. Tuttavia non solo l’uomo della strada, anche gli storici austriaci contestano sul piano scientifico la tesi di Clark (il cui libro nell’area di lingua tedesca è diventato un best-seller), rilevando persino incongruenze tra quanto da lui affermato e la documentazione esistente.

È certo che alla vigilia della guerra tutta l’Europa era in gran fermento. La Russia mirava al controllo del Bosforo e dei Dardanelli. La Francia reclamava l’Alsazia e la Lorena, perdute nella guerra con la Germania nel 1871. La Gran Bretagna era allarmata dalla crescente potenza dell’impero tedesco. E poi c’erano i Balcani, che avevano visto due guerre in un breve arco di tempo e il sorgere di una Serbia desiderosa di riunire attorno sé gli altri popoli slavi dell’area, così come avevano fatto pochi anni prima il Piemonte in Italia e la Prussia in Germania.

È in questo scenario che negli Stati europei di inizio secolo sale la febbre bellicista. Il Kaiser tedesco Guglielmo II porta il suo esercito da 650.000 a 800.000 uomini. Nella primavera del 1914 la Francia prolunga a 3 anni la ferma militare. Dal 1910 in poi la Russia espande il suo esercito da 500.000 a 1.300.000 soldati. E anche l’Austria-Ungheria non se ne sta ferma: l’imperial-regio esercito passa da 400.000 uomini a mezzo milione.

Insomma, tutti sembrano scalpitare in vista di una nuova guerra, ma a deciderne l’inizio – questa l’opinione prevalente degli storici austriaci – e a portarne quindi la responsabilità è l’impero absburgico. Già nel maggio 1914, sei settimane prima dell’attentato di Sarajevo, il capo di stato maggiore austroungarico Franz Conrad von Hötzendorf aveva incontrato a Karlsbad il suo collega tedesco Helmuth von Moltke, che vi era andato a passare le acque. Gli aveva chiesto quanto ci avrebbe messo la Germania a intervenire a fianco dell’Austria, qualora questa avesse attaccato la Serbia, provocando l’inevitabile coinvolgimento della Russia.

Hötzendorf è fautore di una guerra preventiva contro la Serbia e il suo progetto è bloccato soltanto dalla contrarietà del principe ereditario Francesco Ferdinando. Quando questi muore a Sarajevo sotto i colpi di pistola di Gavrilo Princip, il capo di stato maggiore ha via libera. La guerra è già decisa a livello di governo il 7 luglio. L’imperatore Francesco Giuseppe non si oppone. Vuole soltanto conoscere prima il parere del Kaiser tedesco a cui scrive una lettera nella quale chiede il suo appoggio. Il messaggio viene portato a mano a Guglielmo II dal capo di gabinetto del ministro degli esteri, conte Alexander Hoyos, che riceve una risposta affermativa. Né nella lettera di Francesco Giuseppe, né nella risposta (soltanto orale) di Guglielmo II viene menzionata la parola guerra. Ma Hoyos tralascia di riferirlo al governo austriaco, che la dà per scontata e procede di conseguenza.

Si vorrebbe dare inizio immediatamente alle ostilità, se non intervenisse il primo ministro ungherese, conte Istvan Tisza, sostenendo l’opportunità di far precedere la guerra da un ultimatum. Soltanto su insistenza di Tisza il ministro degli esteri, conte Leopold Berchtold, redige un documento in 10 punti formulati in maniera tale da risultare inaccettabili per la Serbia. Con sorpresa generale, però, il governo serbo accoglie sostanzialmente tutte le richieste, meno una: la partecipazione di inquirenti austriaci alle indagini in corso sui mandanti dell’attentato di Sarajevo.

All’annuncio della risposta di Belgrado, nelle cancellerie europee di Parigi, Londra, San Pietroburgo e persino di Berlino si tira un sospiro di sollievo: la guerra sembrava scongiurata, grazie alle umilianti condizioni accettate dalla Serbia. Ma non è così. L’ambasciatore austriaco interrompe le relazioni diplomatiche e lascia Belgrado con tutta la legazione diplomatica la notte stessa, perché la decisione del suo ministro era già stata presa da giorni: quale che fosse la risposta della Serbia all’ultimatum, la guerra doveva essere comunque dichiarata. Vi è un tentativo di mediazione del ministro degli esteri britannico e una iniziativa di pace russa, ma vengono entrambe respinte da Vienna.

E il 28 luglio 1914 – oggi, cento anni fa – Francesco Giuseppe firma la dichiarazione di guerra. L’atto ha luogo, come di consueto, in un’udienza al mattino che dura soltanto 20 minuti e nella quale i presenti non hanno nemmeno il tempo per sedersi. Come se si fosse trattato di un normale provvedimento amministrativo. Era invece l’inizio di una guerra che sarebbe durata 5 anni, causando 20 milioni di morti e il crollo dell’impero absburgico.

 

NEL DIPINTO, l’imperatore Francesco Giuseppe con il primo ministro ungherese Istvan Tisza, l’unico ad opporsi a un attacco immediato alla Serbia e a pretendere che le fosse inviato un ultimatum.

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