Sabato 18 Maggio 2024

17.08.27 Migranti, profughiIl fenomeno migratorio adopera un proprio vocabolario o almeno lo adoperano gli addetti ai lavori. Una delle espressioni di questo linguaggio gergale è “migrazione netta”: definisce il numero degli stranieri entrati in un Paese, detratti quelli che sono entrati e poi se ne sono andati altrove. L’Austria ne sa qualcosa: nel 2015 era stata attraversata da quasi un milione di profughi provenienti dalla rotta balcanica, 86 mila dei quali erano rimasti e avevano chiesto asilo, mentre gli altri avevano proseguito il viaggio verso la Germania e il Nord Europa.

Nel 2016 le richieste di asilo si sono dimezzate a 42.000, ma un Paese piccolo come l’Austria ne ha risentito (e ne risentirà a lungo nei prossimi anni). La presenza degli stranieri è comunque sovradimensionata rispetto ai residenti autoctoni, molto più che in altri Paesi europei, compresa l’Italia (in Friuli Venezia Giulia, per esempio, sono presenti attualmente meno profughi di quanti ce ne sono in Carinzia, che pure ha la popolazione della sola provincia di Udine, e ciononostante nel Land confinante non si parla di “invasione”, come accade da noi).

Un quadro dettagliato e preciso della situazione è contenuto nel rapporto annuale del Consiglio di esperti per l’integrazione, organo consultivo del Ministero per l’Integrazione, che attualmente in Austria è aggregato al Ministero degli Esteri e fa capo al ministro Sebastian Kurz. Il rapporto relativo al 2016 è stato presentato ora a Vienna, dal presidente dell’organo consultivo, Heinz Faßmann.

È un documento pieno di numeri, di cui alcuni in particolare colpiscono: su una popolazione di 8,6 milioni di abitanti, i cittadini con una storia di immigrazione alle spalle (nati all’estero o nati in Austria da genitori provenienti dall’estero) sono ben 1,9 milioni. In altre parole, un austriaco su cinque (il 22%, per la precisione) lo è diventato da poco o lo sono diventati da poco i suoi genitori.

Benché i flussi attualmente siano sensibilmente calati, soprattutto per la chiusura quasi completa della rotta balcanica, il fenomeno non si esaurirà da sé, ma continuerà in futuro. Lo ha affermato il presidente Faßmann, riferendosi al fatto che l’Austria è un Paese ad alto reddito e con un elevato grado di sicurezza sociale. Sono fattori di grande attrazione sia per i profughi veri e propri, che fuggono da guerre e persecuzioni, sia per chi emigra in cerca di lavoro.

Si ha un bel dire che molti Paesi dell’Est Europa non accettano la ricollocazione di migranti che spetterebbe a loro, in base agli accordi assunti in sede Ue. Quand’anche l’accettassero, i migranti non vorrebbero andarci, perché le prospettive di vita non sono così incoraggianti come quelle offerte dall’Austria.

Qualche dato di analisi offerto dal Rapporto sull’integrazione. Di quell’1,9 milioni di austriaci giunti dall’estero, la grande maggioranza (1,42 milioni) sono di prima generazione (sono nati cioè all’estero); soltanto 480.000 sono di seconda generazione. Interessante anche la loro provenienza.

La carnagione scura, il volto velato, la barba danno subito nell’occhio e fanno pensare che gli immigrati siano in gran parte islamici. Non è così. Il 66% sono europei: il 25% da Paesi dell’Unione Europea (al primo posto la Germania), che diventa il 38%, se si considerano anche i Paesi dell’Efta, di cui l’Austria faceva parte prima di aderire all’Ue. Il 28% sono arrivati dall’ex Jugoslavia, in occasione delle guerre seguite alla dissoluzione della Repubblica di Tito. Soltanto il 34% arriva da fuori Europa: il 14% dalla Turchia e il restante 20% da altri Paesi dell’Africa e dell’Asia. Rientrano in questo 20% quanti sono arrivati dal 2015 in qua: i più numerosi sono gli afghani, seguiti dai siriani e dagli irakeni.

Il ministero che ha commissionato i rapporto si chiama “per l’integrazione” e anche il consiglio che lo ha elaborato porta questa denominazione, perché il problema che la presenza ex straniera di prima o seconda generazione è proprio questo: l’inserimento nel tessuto sociale ed economico del Paese di persone che arrivano da altre culture.

Gli ultimi arrivati – ha sottolineato Heinz Faßmann sono “in gran parte giovani, maschi e religiosi”, con una forte voglia di darsi da fare per imparare e inserirsi nel mondo del lavoro. Non sarà una strada facile, secondo l’esperto, perché incontreranno molte difficoltà. Servono innanzitutto corsi di tedesco e corsi di integrazione, per far conoscere e accettare i valori su cui si fonda la società occidentale. Un’operazione che costerà una barca di soldi: il consiglio ha stimato dal 2015 al 2019 un maggiore sforzo finanziario da 8 a 12 miliardi. Ma sarà un processo che richiederà anche molto tempo.

“Per questo insieme di problemi – ha sottolineato Faßmann – non ci sono risposte semplici e veloci. E chi dice questo, si sbaglia di certo”. Parole pronunciate con riferimento alla campagna elettorale in corso, che ha fatto dell’immigrazione il suo tema centrale. Parole pronunciate forse anche con riferimento al ministro per l’integrazione Sebastian Kurz, il cui attivismo in questo campo (si pensi alla lezioncina data all’Italia sulla chiusura della rotta mediterranea e sulla creazione di un gigantesco campo profughi a Lampedusa) profuma spesso di propaganda elettorale.

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