Sabato 18 Maggio 2024

Fino ai primi del 2022 a Texingtal, in Bassa Austria, c’era un piccolo museo dedicato a Engelbert Dollfuss, il dittatore fascista (o austrofascista, per distinguerlo dal fascismo italiano a cui si era ispirato). Il museo era stato creato in quel piccolo paese, di meno di 1.700 abitanti, perché lì era nato Dollfuss e lì vivono ancor oggi alcuni suoi parenti.

Dollfuss fu per l’Austria quel che Mussolini fu per l’Italia. Dal duce romano quello austriaco aveva copiato molte cose, comprese le liturgie militari di piazza e l’uso dell’uniforme militare, che in un uomo di bassa statura e poco marziale come lui lo facevano sembrare abbastanza ridicolo. Il “duce” austriaco si è reso responsabile di aver sciolto il Parlamento, aver ordinato all’esercito di sparare sugli operai che stavano manifestando, causando alcune centinaia di morti, e di aver posto fine alla prima Repubblica austriaca, introducendo una dittatura. Fu assassinato nel 1934, nel cosiddetto “Putsch” di luglio. A ucciderlo però non furono i socialisti, contro cui aveva fatto sparare, ma gli esponenti del nascente movimento nazista.

Il museo non fu allestito a quel tempo, ma nel 1998, quando ormai l’Austria avrebbe dovuto avere tutti gli elementi di conoscenza per una valutazione critica dell’operato di Dolfuss e delle sue conseguenze. Non fu così. Il museo di Texingtal ha avuto fino al 2022 più che altro un ruolo di commemorazione e di omaggio al dittatore. E avrebbe continuato a svolgere questo suo ruolo, se il sindaco di allora, Gerhard Karner (Övp), non fosse stato convocato a Vienna dal cancelliere Karl Nehammer (pure dell’Övp), per ricoprire un incarico ministeriale nel suo governo.

La stampa austriaca, che fino a quel momento aveva ignorato l’esistenza del “mausoleo” di Dollfuss, dovette prenderne atto e porre scomode domande al nuovo ministro. Domande che probabilmente nessuno fino ad allora aveva posto a Karner. Del resto, l’Övp, il Partito popolare austriaco, erede del Partito cristiano-sociale d’anteguerra, di cui Dollfuss era stato leader, non si era mai peritato di condannare o, almeno, rivedere criticamente il ruolo del dittatore. Aveva continuato a considerarlo un suo “padre morale”, a dedicargli una messa di suffragio nell’anniversario dell’assassinio (come usava fare il Msi in Italia per Mussolini, ai tempi di Almirante), a conservare un suo ritratto nelle sale del Parlamento riservate al gruppo parlamentare del partito (il quadro è stato rimosso e non più ricollocato al suo posto in occasione dei lavori di completo restauro del palazzo).

Dal 2022, dunque, il museo di Dollfuss è chiuso, ma non si è trattato di una chiusura definitiva. Si decise allora di costituire una commissione di storici, con il compito di giungere a una “chiusura costruttiva” dell’istituzione. Non siamo certi di interpretare correttamente la definizione abbastanza inedita di “chiusura costruttiva”. Ci sembra che in primo luogo si volesse evitare un provvedimento traumatico per una popolazione che conta ancora molti fans del de cuius e alcuni suoi parenti. In secondo luogo sembra si volesse utilizzare il tempo dal 2022 al 2028 per una revisione storica del materiale del museo, per rivedere la figura del defunto dittatore nella sua giusta luce. Un processo a cui sarebbero stati coinvolti gli abitanti di Texingtal, quasi una forma di “rieducazione democratica”.

Perché la scadenza nel 2028? Perché in quell’anno scade il contratto di affitto dell’immobile che ospita il museo. Una scelta dettata da pragmatismo tipicamente austriaco: visto che c’è un contratto in vigore, sfruttiamolo fino in fondo.

Ma le cose non stanno andando così. Il contratto non sarà sfruttato fino in fondo. Succede l’imprevedibile. Gran parte degli oggetti esposti nel museo non sono di proprietà del museo, ma prestiti della gente di Texingtal (i più interessanti appartengono ai discendenti di Dollfuss), che ora li rivuole indietro. Forse a loro la “rieducazione” progettata dal comitato di storici non interessa granché. Anzi, è probabile che dia loro fastidio, perché mette in discussione l’unico degli abitanti del paese che aveva avuto notorietà nazionale, l’unico di cui parlano e parleranno i libri di storia e di scuola. Se non ci fosse stato Dollfuss, chi mai si sarebbe sognato di occuparsi di Texingtal? Nemmeno il nostro blog ne avrebbe fatto parola.

Fortunatamente il “patrimonio” del museo di Dollfuss non ritornerà nelle case dei prestatori e non andrà disperso. I proprietari hanno deciso che tutto il materiale sia affidato fiduciariamente al Museo del Land della Bassa Austria, con sede a St. Pölten, che forse potrebbe con esso allestire a sua volta un museo sul dittatore. Cambiare tutto per non cambiare nulla? Vedremo. Per ora possiamo soltanto osservare che il museo appartiene a un Land dove l’Övp è largamente maggioritario – anche se non più egemone, dopo le ultime elezioni – e dove è possibile che la memoria dell’antico leader divenuto dittatore sia conservata con maggiore rispetto e senza troppe revisioni storiche.

NELLA FOTO, il dipinto di Engelbert Dollfuss, rimosso dalle sale del gruppo parlamentare dell’Övp, durante i lavori di restauro del palazzo.

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