Sabato 18 Maggio 2024

L’Austria ha celebrato nel 2023 i 150 anni del suo primo acquedotto. Lo ha fatto con legittimo orgoglio, perché si trattò di un’opera colossale, realizzata in meno di quattro anni con strumenti di lavoro che non erano in alcun modo paragonabili con quelli di oggi. Per comprendere le dimensioni del progetto, si consideri soltanto che Vienna andò a cercarsi l’acqua per il suo fabbisogno idrico sui monti di Rax, al confine tra Bassa Austria e Stiria. Prima veniva attinta dal Danubio o da pozzi artesiani, che non ne garantivano la potabilità ed era stata più volte all’origine di epidemie di tifo e colera.

L’acqua delle sorgenti di Rax avrebbe risolto una volta per tutte i problemi sanitari della capitale. Anzi, per dirla tutta, la decisione di intraprendere un’opera così imponente e costosa fu presa proprio in vista dell’Esposizione universale di Vienna del 1873, in modo che agli ospiti che sarebbero giunti da tutto il mondo fosse servita acqua potabile di qualità, scongiurando il rischio di epidemie.

Vienna dista da Rax circa 150 chilometri e il dislivello tra le sorgenti e la città è di 276 metri. Il progetto fu elaborato in modo che dalle fonti alla capitale dell’impero, che allora aveva circa 600.000 abitanti, l’acqua giungesse per caduta, come con gli acquedotti romani, senza che vi fosse necessità di stazioni di pompaggio. Una soluzione tutto sommato semplice, dal punto di vista della fisica dei liquidi, ma che richiese enormi lavori per la costruzione di viadotti e lo scavo di gallerie. Per non parlare poi dei calcoli richiesti per stabilire la giusta pendenza su un tragitto così lungo.

Di questo acquedotto avevamo già scritto il 9 maggio scorso. Ne riparliamo oggi, perché, prima che scada la ricorrenza dei 150 anni, vogliamo segnalare un dettaglio di quell’impresa che a molti è sfuggito, anche nelle celebrazioni ufficiali. Un dettaglio che però a noi sembra importante.

Ricordiamo, innanzitutto, che in considerazione dei costi enormi dell’opera per un paio d’anni furono costituite commissioni di studio, allo scopo di trovare la soluzione migliore, in termini di efficienza e di costi. Il primo problema da risolvere riguardava la ricerca delle sorgenti, perché inizialmente non era stato affatto scontato andarle a cercare così lontano da Vienna. L’ultimo problema fu quello di appaltare i lavori.

Con grande lungimiranza e contravvenendo alle consuetudini del tempo, l’ente appaltatore decise di bandire una gara europea. Avrebbe potuto affidare l’incarico a una società austriaca – l’impero era abbastanza grande e non mancavano certo imprese in grado di affrontare una sfida simile – ma, andando contro corrente e soprattutto contro la corrente di quanti a quel tempo avrebbero detto “prima gli austriaci”, preferì guardare oltre i propri confini. Non lo aveva costretto l’Europa, che ancora non esisteva come l’intendiamo oggi, a bandire una gara europea. Fu una libera scelta del committente, consapevole che solo così avrebbe potuto contare su capacità umane e su tecnologie all’avanguardia per quel tempo.

Al bando risposero 10 aziende e l’appalto fu affidato alla società londinese Antonio Gabrielli. Non siamo stati in grado di capire chi fosse costui, perché in rete non ce n’è traccia, per cui sarebbe necessaria una ricerca sul campo che non possiamo permetterci. Ma una società inglese con quel nome – Antonio Gabrielli, non Antony Gabrielli – ci induce a pensare che fosse un imprenditore italiano o di origini italiane. Del resto, quando nel corso dei lavori una delle ditte subappaltatrici – la Franz Schlögl di Vienna – si trovò in difficoltà, non essendo in grado di eseguire determinate opere, Gabrielli pensò di chiamare in soccorso lavoratori italiani. Non fu necessario, perché inaspettatamente gli fu offerto il supporto di un battaglione di genieri del 2. Reggimento Arciduca Leopoldo.

Il riferimento all’italianità dell’impresa Gabrielli – soltanto presunta, sia ben chiaro – non lo abbiamo fatto per provincialismo. Sappiamo di certo che la sua società era inglese e aveva sede a Londra. Abbiamo richiamato l’attenzione su questo dettaglio soltanto per mettere in evidenza l’apertura dell’impero asburgico ai contributi dei cervelli migliori, a prescindere dalla loro provenienza. L’acquedotto di Vienna fu realizzato da una impresa inglese, ma già qualche anno prima la ferrovia del Semmering – altro capolavoro dell’ingegneria – era stata realizzata da Carlo Ghega, un veneziano di famiglia albanese. Insomma, la competenza contava più dell’appartenenza.

E fu grazie alla competenza che l’opera fu realizzata nei quattro anni previsti. Purtroppo l’inaugurazione avvenne nell’ottobre 1873 e solo allora i viennesi poterono abbeverarsi alle acque purissime delle sorgenti di Rax. Prima si erano dovuti accontentare delle acque del Danubio e dei pozzi, cosa che originò un’epidemia di colera proprio nel bel mezzo dell’Esposizione universale, determinandone di fatto il fallimento.

Centocinquant’anni dopo l’acquedotto di Rax, inaugurato personalmente dall’imperatore Francesco Giuseppe, continua ad essere la principale fonte di approvvigionamento idrico della capitale austriaca, integrata nel 1910 da un secondo acquedotto, lungo 190 chilometri, che attinge alle sorgenti dell’Hochschwab, gruppo montuoso interamente in Stiria. Il primo acquedotto trasporta ogni giorno a Vienna 220.000 metri cubi d’acqua, il secondo 217.000. L’acqua giunta nella capitale viene in parte conservata in 31 bacini per eventuali emergenze (1,6 miliardi di litri) e il resto distribuita ai viennesi attraverso una rete di tubature lunga 3.000 chilometri.

NELLA PRIMA FOTO, le arcate in costruzione del viadotto tra le case alla periferia di Vienna, per il passaggio del primo acquedotto, 150 anni fa. Nella seconda foto, un cantiere del secondo acquedotto, meno di 40 anni dopo, nel bosco viennese. Un segno del tempo qui è la presenza di una decauville, che agevola il trasporto dei materiali.

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