Sabato 18 Maggio 2024

Tardivamente l’Austria sta saldando il suo debito con gli ebrei cacciati dopo l’Anschluss al Reich nazista. Circa 65.000 erano finiti nelle camere a gas, 100.000 erano riusciti a schivare i campi di sterminio, fuggendo appena in tempo all’estero. Alcuni di essi dopo la guerra avevano tentato di ritornare nella loro patria, ma non erano stati bene accolti. Le loro abitazioni, quelle risparmiate dai bombardamenti, erano ora occupate da altri, che non intendevano andarsene. I beni loro sottratti con la forza (70.000 appartamenti, più di quelli costruiti dalla Vienna Rossa, 36.000 fra negozi e aziende) non vennero restituiti o vennero risarciti con somme irrisorie (come accadde, per esempio, con la foresta della Bärental, in Carinzia, sottratta a una famiglia ebrea triestina e negli anni ’80 divenuta di proprietà di Jörg Haider).

Ma soprattutto dovettero confrontarsi con l’astio di chi, non ebreo, era rimasto in Austria e aveva dovuto sopportare le tragedie della guerra, mentre loro, gli ebrei fuggiti all’estero, avevano avuto la “fortuna” di non dover subire bombardamenti, fame e patimenti. Una storia capovolta, con i responsabili dell’esodo ebraico e dell’Olocausto che riversano sulle loro vittime la colpa di ciò che è toccato loro. È un atteggiamento non infrequente, che trova una sua definizione in psicologia.

Quanto a lungo sia durato in Austria questo antisemitismo latente – dopo l’antisemitismo esplicito cristiano-sociale e nazista – lo abbiamo potuto intuire dal film “Woman in Gold”, che racconta le traversie subite tra il 1998 e il 2005 dall’erede di una vittima del nazismo, per vedere restituita un’opera di Gustav Klimt, “Die goldene Adele”, confiscata ai suoi progenitori.

Da allora è passato ancora qualche anno e finalmente nel 2019 il Parlamento austriaco ha approvato una legge che restituisce e concede la cittadinanza a tutti i connazionali costretti a fuggire dall’Austria e a non potervi fare ritorno, perché perseguitati dal nazismo. Sono considerati in primo luogo gli ebrei, che furono le vittime più numerose del nazismo, ma anche altri perseguitati per ragioni politiche o di genere. L’accesso alla cittadinanza vale anche per i discendenti in linea diretta da chi ha subito o temuto la persecuzione. La prima formulazione del testo di legge non si prestava a una facile applicazione, ma gli ostacoli sono stati rimossi con alcuni emendamenti approvati all’unanimità nel marzo scorso ed entrati in vigore in maggio.

Fino ad oggi hanno chiesto di avere la cittadinanza austriaca poco meno di 22.000 discendenti di vittime del nazismo, residenti per lo più in Israele, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Alcune istanze, accompagnate da una documentazione adeguata, sono state accolte immediatamente. In altri casi, quando i richiedenti conoscevano soltanto vagamente il nome dei nonni o bisnonni e poco altro, si è reso necessario un più lungo lavoro di ricerca negli archivi. Al momento attuale circa 12.000 di questi procedimenti sono stati conclusi positivamente.

NELLA FOTO, ebrei in coda davanti al commissariato di polizia di Margareten (quinto distretto di Vienna), nel 1938, per ottenere i documenti necessari per l’espatrio.

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