Sabato 18 Maggio 2024

13.09.00 Emeka Emeakaroha, parroco di Obergrafendorf - CopiaLa morte improvvisa di don Ignaz Kienzl, 74 anni, parroco di St. Josef in Villach, avvenuta per infarto, mentre accompagnava i suoi parrocchiani al santuario del Lussari, ha riportato alla ribalta un problema che affligge la Chiesa, non solo quella austriaca, ma di tutto il mondo occidentale: la crisi delle vocazioni sacerdotali e, di conseguenza, la mancanza di preti. Don Ignaz aveva un’età in cui qualsiasi lavoratore normale è già da tempo in pensione. Lui invece era ancora “in servizio”. Anzi, doppiamente in servizio perché, proprio per la mancanza di sacerdoti, il vescovo sei anni fa gli aveva affidato provvisoriamente – cioè a tempo indeterminato – anche la confinante parrocchia di Heiligenkreuz, rimasta senza preti. Con la morte di don Ignaz Kienzl le parrocchie scoperte sono diventate due, che si aggiungono a tante altre nella stessa condizione.

 

Altrove, in Austria, il problema è stato affrontato attraverso l’accorpamento di più parrocchie, affidate a un solo sacerdote che deve farsi in quattro per garantire i servizi liturgici, la somministrazione dei sacramenti e l’attività pastorale un po’ qua e un po’ là, avvalendosi nei limiti del possibile della collaborazione dei laici. In Carinzia, invece, la diocesi ha seguito una strategia diversa: mantenere in vita tutte le parrocchie esistenti, cercando di garantire in ciascuna la presenza di un sacerdote. E, se non ci sono sacerdoti austriaci, facendoli venire dall’estero.

 

Il risultato è che attualmente un terzo dei sacerdoti operanti in Carinzia sono stranieri. Lo scorso anno, per esempio, ne sono arrivati ben 18 dalla Polonia, dall’India, dalla Nigeria e dalla Slovenia. I nomi parlano chiaro sul Paese d’origine. Il parroco di Karnburg, per esempio, si chiama Marek Gmyz, quello di Ferlach Blazej Idczak, quello di Gmünd Istvan Hajtajer. Il santuario di Maria Luggau, meta annuale di decine di pellegrinaggi, di cui alcuni partono anche dalle valli carniche, è affidato a padre Joseph Chukwuneme M. Okoli. Complessivamente, su 260 parroci, 81 sono stranieri e la maggior parte di essi (33) arrivano dalla Polonia.

 

Il fenomeno migratorio nel campo religioso assomiglia molto a quello che si registra in altri settori del lavoro: anche qui gli stranieri vengono per fare ciò che gli autoctoni non hanno più voglia di fare. La considerazione può apparire irrispettosa, ma corrisponde alla realtà: attualmente gli allievi del seminario diocesano sono soltanto sei e hanno consentito quest’anno tre ordinazioni sacerdotali; lo scorso anno non c’è stata nessuna e nessuna è prevista nemmeno l’anno prossimo.

 

Il vuoto determinato dalla crisi delle vocazioni viene colmato da uomini che vengono da lontano, spesso da molto lontano. Con tutti i problemi che ne possono derivare e di cui la curia di Klagenfurt è ben consapevole. Proprio in questi giorni, su iniziativa del vescovo Alois Schwarz e del vicario generale Engelbert Guggenberger, è stato avviato un corso in tre fasi per i 18 sacerdoti stranieri arrivati in Austria lo scorso anno. I fedeli non riescono a capire quello che dicono e a farsi capire, perché il loro tedesco è a dir poco zoppicante. Dovranno seguire lezioni di tedesco all’Università di Klagenfurt e nei prossimi due anni dovranno partecipare, due volte alla settimana, a esercizi di conversazione.

 

Ma la lingua è soltanto una delle barriere tra i parroci con radici straniere e i fedeli. Le barriere principali sono di natura culturale, specie per chi arriva dalla “fine del mondo”, e riguardano la concezione delle donne, dei laici, della pastorale. Anche su questo fronte la diocesi intende lavorare con i nuovi arrivati, per aiutarli a comprendere meglio le “pecorelle” loro affidate.

 

Nella foto, il sacerdote nigeriano Emeka Emeakaroha, parroco di Obergrafendorf.

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