Leopold Figl fu il primo cancelliere austriaco eletto nel dopoguerra e fu lui nel 1955 a portare a conclusione le trattative con le potenze alleate vincitrici (in particolare con l’Urss, la più ostica) per restituire all’Austria la piena sovranità, dopo dieci anni di occupazione. In Italia il suo nome non dice molto, ma in Austria è il personaggio storico più popolare dopo Mozart e, nel suo ruolo di cancelliere, è considerato secondo soltanto a Bruno Kreisky. Non deve stupire, quindi, che molte città abbiano intitolato al suo nome vie e piazze, che vi siano monumenti che lo ricordano e che nel suo paese natale, Rust im Tullnerfeld, nella Bassa Austria, vi sia addirittura un museo a lui dedicato.
Agli onori della politica ora si potrebbero aggiungere anche quelli degli altari, perché Lepold Figl potrebbe diventare in un futuro non lontano “Sankt Leopold”. Il vescovo della Bassa Austria, Alois Schwarz, infatti, ne ha proposto la beatificazione.
Forse non conosciamo Figl, ma di sicuro conosciamo Schwarz, che prima di diventare vescovo in Bassa Austria era stato vescovo in Carinzia. Al momento di cambiare sede era venuta alla luce la sua gestione dispendiosa e autoritaria degli affari della diocesi, dove aveva lasciato un bilancio in dissesto. Tra le spese a lui attribuite, la realizzazione di una piscina con annessa sauna per la donna che era diventata la sua amante e che, di fatto, comandava al posto suo nella diocesi.
È dunque questo vescovo il patrocinatore della causa per la beatificazione di Figl, primo passaggio per poi giungere alla santificazione. Per giustificare un tale onore la Chiesa pone due requisiti: che vi siano miracoli attribuibili al defunto o che questi in vita abbia sofferto il martirio. Mons. Schwarz, nel proporne la beatificazione, non ha potuto indicare alcun miracolo, ma si è appellato al secondo requisito: il martirio.
Dopo l’Anschluss, infatti, Figl fu perseguitato dal nazismo e trascorse cinque anni, dal 1938 al 1943, nel campo di concentramento di Dachau. Liberato e poi nuovamente incarcerato a Vienna, sarebbe finito impiccato, se non fossero arrivati in tempo i russi a liberarlo. Le sofferenze della detenzione avrebbero danneggiato irrimediabilmente la sua salute, tanto da portarlo alla morte.
Sulle sofferenze non vi sono dubbi. I nazisti non riservarono alcun trattamento di favore a Figl. Ma la sua condizione fu condivisa da milioni di altri uomini e donne, che morirono nei lager o vi uscirono portando nel fisico e nell’animo le cicatrici di quella loro indicibile esperienza.
Quanto a Figl, morì nel 1965, venti anni dopo la capitolazione del Reich. Certamente la sua salute ne aveva risentito, ma non in maniera così grave come era capitato ad altri suoi connazionali. Basti pensare agli ebrei, che non fecero più ritorno a casa, o agli austriaci morti di fame nei primi anni dopo la fine della guerra, quando mancavano i generi di prima necessità (dei nati nel giugno 1945, il 42% non superò il primo anno di vita e nell’inverno tra il 1946 e il 1947 morì il 16% dei neonati).
Queste considerazioni, tuttavia, non hanno fatto deflettere il vescovo Schwarz dal proposito di portare agli altari Leopold Figl. Il primo passo sarà la presentazione ufficiale della candidatura alla riunione di primavera della Conferenza episcopale austriaca, che dovrà darne l’approvazione. Il passo successivo sarà l’invio a Roma della proposta. Per l’avvio del processo di beatificazione occorre l’approvazione del Papa.
Difficile immaginare che la proposta di Schwarz riesca a superare questi due passaggi. Leopold Figl era terzogenito di dieci figli di una famiglia di contadini profondamente cattolica e lui stesso ogni anno partecipava a tre pellegrinaggi. Insomma, un uomo di fede, ma anche profondamente antisemita, come la Chiesa austriaca dell’epoca. In quanto cattolico, il suo impegno politico lo aveva visto impegnato nel Partito cristiano-sociale, da cui poi era derivato il fascismo austriaco, sul modello del fascismo italiano. In quel contesto, Figl si era trovato a capo dell’organizzazione paramilitare fascista della Bassa Austria (da cui ovviamente erano esclusi gli ebrei) e aveva preso parte ai combattimenti di Vienna, nel 1934, a sostegno del regime autoritario di Engelbert Dolfuss. La stima nei confronti del dittatore fascista non era venuta meno neppure dopo la guerra, come si rileva dalle annotazioni sul suo conto redatte dai servizi di intelligence americani.
I meriti politici di Figl nel dopoguerra sono indiscutibili. Fu lui a guidare l’Austria in quegli anni tremendi, in cui si moriva di fame e di freddo. Ma il valore dimostrato nel governo di un Paese in macerie basta per meritare il titolo di santo? Se la conferenza episcopale desse un parere favorevole e soprattutto se tale parere fosse accolto anche dal Papa sarebbe davvero un miracolo. Quel miracolo che manca nella biografia di Leopold Figl.
NELLA CELEBRE FOTO del 1955, Leopold Figl, allora in veste di ministro degli Esteri, si affaccia al balcone del Belvedere per mostrare alla folla il Trattato di Stato appena firmato, con cui le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale restituivano all’Austria la piena sovranità, subordinandola però alla condizione di “perenne neutralità”.
________________
Austria Vicina è anche su Facebook. Clicca “mi piace” alla pagina https://www.facebook.com/austriavicina.