L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è paragonabile all’ingresso delle truppe tedesche in Austria nel marzo del 1938? L’improvvido paragone tra l’Anschluss dell’Austria al Terzo Reich di Hitler con ciò che accade in questi giorni nei territori del Donbass è stato fatto dal ministro degli Esteri, Alexander Schallenberg.
Non è la prima volta che le dichiarazioni del capo della diplomazia austriaca suscitano stupore e imbarazzo. Era già accaduto nel corso delle elezioni presidenziali negli Usa. In quell’occasione il ministro aveva trasmesso un’istruzione a tutte le sue ambasciate nel mondo, perché sostenessero la candidatura di Trump, contravvenendo così a una prassi consolidata a livello diplomatico di non prendere posizione per un partito o per l’altro in elezioni di altri Paesi, mentre sono in corso di svolgimento.
È di qualche giorno fa un’altra sconcertante dichiarazione relativa alla Bielorussia. “Io credo che sia avvenuto un fatto importante nella totale disattenzione dei media – ha detto Schallenberg, a margine di un incontro a Bruxelles – La Russia si è appena annessa la Bielorussia. Io ho infatti i miei dubbi che le truppe di Mosca lasceranno mai il Paese”.
E ora la nuova uscita del ministro austriaco che paragona l’intervento russo in Ucraina con l’Anschluss. Lo ha fatto in un’intervista a Zib2, il telegiornale di mezza sera dell’Orf. Le sue parole testuali sono state: “Noi abbiamo già provato sulla nostra pelle nel 1938 che cosa succede quando si è lasciati soli”.
L’allusione è all’invasione dell’Austria da parte delle truppe del Führer. In quell’occasione il governo austrofascista lanciò un appello al mondo intero, per chiedere aiuto e protezione, e non venne ascoltato. Ma l’Anschluss (l’annessione) dell’Austria alla Germania allora poté avvenire, perché la stragrande maggioranza della popolazione austriaca era favorevole al fatale “abbraccio” del grande fratello tedesco. Anche chi non era nazista riteneva che il destino della piccola Repubblica (piccola rispetto all’impero di cui era stata a capo fino a pochi anni prima) non potesse che essere nell’unione a una grande Germania.
La stessa Costituzione emanata dopo la caduta dell’impero parlava di “Deutsch-Österreich” (“Austria tedesca”). L’Austria era stata presa dai tedeschi “manu militari”, ma con il consenso generale di tutti i partiti (meno quello cristiano-fascista), dei sindacati e persino della Chiesa, il cui primate, cardinale Theodor Innitzer, aveva esortato i fedeli a votare a favore nel referendum, che poi avrebbe legittimato l’annessione.
Le autocolonne militari tedesche erano state accolte nel Paese da ali di folla festante, che lanciava fiori sugli “invasori” e agitava bandierine con la croce uncinata. E al discorso di Hitler, pronunciato dal balcone della Neue Hofburg sulla Heldenplatz, aveva assistito una folla oceanica ubriaca di gioia. Allude a quel momento buio della storia austriaca il dramma teatrale di Thomas Bernhard, intitolato appunto “Heldenplatz”.
Nel richiamare alla memoria quell’evento di oltre 80 anni fa, il ministro Schallenberg ha voluto ridare credito al mito dell’Austria “prima vittima” del nazismo, perché primo Paese d’Europa ad essere invaso dai cingolati della Wehrmacht. Così era stata definita nella dichiarazione di Mosca del l’autunno 1943, firmata dai rappresentanti di Gran Bretagna, Usa e Urss, che però nello stesso documento avevano sottolineato anche la responsabilità dell’Austria nella “partecipazione alla guerra a fianco della Germania di Hitler”.
Ma gli austriaci di quegli anni avevano preferito sorvolare sulla seconda parte: non erano stati complici zelanti della guerra di sterminio del Reich e dell’Olocausto, ma essi stessi vittime. Nel Trattato di Stato del 1955, con cui gli Alleati restituivano la sovranità all’Austria, il ministro degli esteri di allora, Leopold Figl, era riuscito a far togliere dal preambolo la cosiddetta “clausola di corresponsabilità” (“Mitverantwortungsklausel”), che pure nel testo originale c’era.
L’Austria, così, era assolta da ogni crimine di guerra e diventava vittima, al pari degli altri Paesi d’Europa che avevano sofferto sotto il tallone nazista. Ma questo, appunto, era un mito, con cui per decenni gli austriaci erano riusciti a rimuovere il loro passato, raggiungendo l’apice nel 1986, con l’elezione a presidente della Repubblica di Kurt Waldheim.
La svolta avviene soltanto nel 1991, quando l’allora cancelliere Franz Vranitzky, socialdemocratico, pone fine a quel mito e riconosce la corresponsabilità dell’Austria negli anni del nazismo. Lo fa solennemente, di fronte al Parlamento: “Anche molti austriaci – dichiarò allora – salutarono con favore l’Anschluss, diedero il loro appoggio al regime nazionalsocialista e collaborarono con esso a vari livelli gerarchici. Molti austriaci furono partecipi delle misure di oppressione e persecuzione del Terzo Reich, alcuni anche in posizioni di vertice”.
Da allora l’Austria è cambiata, gli austriaci sono cambiati, prendendo coscienza del loro passato. Ma il processo non si è ancora concluso, come ci fa capire ora il ministro Schallenberg, che con il suo paragone è riuscito a riportare indietro le lancette dell’orologio.
NELLA FOTO, il ministro degli Esteri, Alexander Schallenberg, intervistato dal giornalista Martin Thür, nel telegiornale Zib2.
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