Sabato 18 Maggio 2024

10.04.25 Heinz Fischer con Bruno KreiskyIl giorno dopo la rielezione trionfale (con il 78,94% dei voti) alla presidenza dell’Austria di Heinz Fischer, torna alla mente un libro del politologo Norbert Leser, pubblicato nel 2000. Un capitolo è dedicato proprio a Fischer, allora non ancora presidente della Repubblica. Si intitola: “L’artista della sopravvivenza”. Forse Leser non è tra i fans di Fischer, ma la sua analisi fotografa la realtà: non esiste uomo politico in Austria, ma nemmeno in altri Paesi del mondo, che come Fischer abbia potuto sopravvivere per quasi 40 anni in Parlamento e soprattutto per 25 anni nella carica di vicesegretario del Partito socialdemocratico, riuscendo cioè a convivere e a collaborare con tutti i segretari succedutesi in questo arco di tempo. Il suo segreto? L’equilibrio, i toni moderati in ogni qualsiasi circostanza, il riserbo, la capacità di mediazione, l’abilità di scansare le grane, l’essere amico di tutti e nemico di nessuno. Ma anche la scarsa propensione a condurre battaglie politiche, schierandosi in prima fila.

Probabilmente per questa sua attitudine al compromesso, all’azione di retroguardia, pur essendo diventato negli anni un “monumento” nella nomenklatura socialdemocratica austriaca, a nessuno era mai venuto in mente di proporlo per la carica di cancelliere (ministro lo è stato soltanto per tre anni), mentre è parso quasi naturale che per 12 anni presiedesse il Parlamento.

Ma Fischer non è stato sempre il Fischer di oggi e di 6 anni fa, quando venne eletto per la prima volta alla Hofburg. Da giovane, esponente dell’ala più radicale del Partito socialdemocratico, sembrava destinato a una vita di rivoluzionario. Lungo la strada, però, i suoi ardori si erano smorzati. L’unico soprassalto di cui si abbia memoria risale al 1975 e non è purtroppo un soprassalto che gli faccia onore.

Governava Bruno Kreisky, il “re sole” della socialdemocrazia austriaca, e l’allora giovane Fischer era capogruppo in Parlamento, quando il Centro di documentazione ebraica di Vienna, guidato da Simon Wiesenthal, pubblica un rapporto sull’allora leader dell’Fpö Friedrich Peter, dal quale emerge  che questi era stato “Obersturmbannführer” di una unità di SS. Kreisky si schiera in difesa di Peter, perché proprio grazie a lui e all’appoggio esterno del suo partito aveva potuto conquistare la cancelleria, e giunge ad accusare Wiesenthal di metodi mafiosi e di essere stato un collaboratore della Gestapo nei lager nazisti.

Un’infamia, se si considera la statura morale della persona a cui l’accusa era rivolta. Ma ad infamia si aggiunge infamia. Fischer, da capogruppo dell’Spö, va oltre: propone una commissione parlamentare di inchiesta contro Wiesenthal, che a sua volta aveva citato in giudizio il cancelliere. Il caso poi si smonta: il cacciatore di nazisti rinuncia all’azione penale e anche la commissione di inchiesta proposta di Fischer finisce nel cassetto.

Per quell’odioso episodio Heinz Fischer non ha mai sentito il dovere di chiedere perdono a Wiesenthal, finché era in vita. Intervistato alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2004 dal settimanale di Vienna “Falter”, Fischer non aveva sentito nemmeno in quell’occasione la necessità di scusarsi. Aveva detto di aver agito “da bravo soldato di partito”, in difesa del suo capo. Una giustificazione che manifesta una clamorosa e sconcertante incapacità di riflessione e revisione di comportamenti che, oltre trent’anni dopo , non possono che essere definiti mostruosi.

Oggi probabilmente Fischer si sarebbe comportato diversamente. L’arte della sopravvivenza politica gli ha insegnato l’abilità di ascoltare tutti e di non sbilanciarsi mai in giudizi azzardati. Proprio le qualità che servono a un ruolo praticamente inutile qual è quello di un presidente della Repubblica austriaca.

Nella foto, un giovanissimo Heinz Fischer con Bruno Kreisky, cancelliere austriaco negli anni ’70.

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