Sabato 18 Maggio 2024

12.01.20 schlecker2_726apa200112Schlecker, una delle più grandi catene di drogherie della Germania e d’Europa, presente anche in Italia con 230 negozi, è sull’orlo del crac. Sono a rischio 47.000 posti di lavoro, di cui 30.000 circa in Germania (dove portano l’insegna Schlecker 970 filiali) e i restanti 17.000 in Austria, Spagna, Portogallo, Francia, Cechia, Polonia e nel nostro Paese. La società (6,5 miliardi di fatturato all’anno) dal 2008 chiude i bilanci in perdita, nel 2010 ha subito una flessione nelle vendite per 650 milioni e in questo momento non ha più la liquidità per la ristrutturazione che sarebbe necessaria. Il tentativo di accedere a un finanziamento di emergenza è fallito venerdì e nella settimana entrante sarà giocata l’ultima carta: quella del “piano di insolvenza”.

 

Si tratta di una procedura concorsuale esistente nel diritto societario tedesco (dal 2010 introdotta anche in Austria), che, quando le condizioni lo consentono, può evitare il peggio. Questa cosiddetta “Planinsolvenz” prevede, grosso modo, che l’azienda continui a essere gestita dai suoi proprietari, con l’intervento di un curatore con funzioni di vigilanza e consulenza e l’applicazione di un piano di risanamento approvato dai creditori.

 

Il management di Schlecker, nel rendere pubbliche venerdì sera le difficoltà della società, ha annunciato il proposito di chiedere a breve l’avvio di questa procedura e si è detta fiduciosa sull’esito positivo. L’azienda tedesca ha detto di voler “garantire la maggior parte delle sue filiali e dei suoi occupati. L’attività continuerà senza cambiamenti e il pagamento dei salari è garantito. La famiglia (azionista unica della società, nda) ha preso questa difficile decisione per poter seguire la strada della ristrutturazione”.

 

L’ottimismo degli Schlecker non è tuttavia condiviso dagli esperti del settore. Va detto che il “Planinsolvenz” in Germania, in vigore da 10 anni, è stato applicato finora soltanto in 640 casi (su 30.000), mentre in Austria si ha un solo tentativo di applicazione finito male. Si dubita, quindi, che possa aver successo con Schlecker. La soluzione più credibile sarebbe quella di un compratore, su cui tuttavia nessuno fa gran conto.

 

La crisi della casa madre, se non avrà sbocchi, si ripercuoterà anche sulle controllate all’estero. Poco importa che i loro conti siano in ordine o addirittura in attivo. La Schlecker ha una organizzazione piramidale: gli acquisti vengono fatti in blocco dalla casa madre e senza di essa gli scaffali delle filiali rimarrebbero vuoti. Rimarrebbero vuoti anche quelli delle 230 sedi italiane.

 

L’impero Schlecker porta il nome del suo fondatore, Anton Schlecker, figlio di un macellaio, che nel 1975 aprì il suo primo negozio a Kirchheim unter Teck, nel Baden-Württemberg. L’idea vincente era quella di dare al pubblico una drogheria self-service, con un’offerta di prodotti più ampia di quella di una normale drogheria. Attualmente gli articoli in vendita sono circa 4.000, dai detersivi alle batterie, dalle caramelle agli aspirapolvere.

 

Due anni più tardi i negozi con marchio Schlecker erano già un centinaio e nel 1984 avevano superato quota mille. L’espansione all’estero è incominciata nel 1987, ma bisogna attendere il 1999 per vedere la prima filiale italiana.

 

Anton Schlecker e la moglie Christa hanno sempre evitato la luce dei riflettori, ma due circostanze – poco note in Italia, ma non nell’area di lingua tedesca – hanno fatto finire i loro nomi sulle prime pagine dei giornali. La prima riguarda i figli Meike e Lars, rapiti alla vigilia del Natale 1987, per i quali fu pagato un riscatto di 9,6 milioni di marchi (pari a 4,9 milioni di euro). I figli, tuttavia, riuscirono a liberarsi da soli. Solo 11 anni dopo i rapitori furono catturati e condannati.

 

La seconda ragione di notorietà è legata all’atteggiamento padronale nei confronti dei dipendenti, sottopagati, sfruttati, addirittura spiati per cavarne un profitto maggiore. Negli anni ’90 la famiglia Schlecker fu condannata dal Tribunale di Stoccarda, nel corso di un processo memorabile, a risarcire centinaia di dipendenti, che per anni avevano ricevuto uno stipendio al di sotto dei minimi contrattuali. Anche in seguito, però, le condizioni di lavoro nell’azienda non sono molto migliorate e sono sempre state oggetto di rilievi da parte dei sindacati. Un aspetto anche questo poco noto in Italia, ma che ha danneggiato molto l’immagine della Schlecker in Germania e che, in qualche misura, rende ora più difficile trovare un “salvatore”.

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