Sabato 18 Maggio 2024

16.05.23 Alexander Van der Bellen 1Ore 16.31. Lo spoglio dei voti spediti per posta non è ancora completato. Mancano soltanto i risultati di 2 dei 113 seggi mandamentali, ma ormai i calcoli matematici non lasciano dubbi: Alexander Van der Bellen ha vinto e sarà lui nei prossimi 6 anni a ricoprire la massima carica della Repubblica austriaca. Il primo capo di Stato verde in Europa, dopo 12 capi di Stato tutti socialdemocratici o popolari. Una vittoria sul filo di lana, per soli 31.026 voti di vantaggio (su quasi 4 milioni e mezzo di votanti), che tuttavia è stata subito riconosciuta dall’avversario Norbert Hofer. Il candidato dell’Fpö pochi minuti dopo ha postato su Facebook: “Naturalmente oggi sono triste. Sarei stato volentieri vostro presidente, per prendermi cura di questo meraviglioso Paese”. Segue una postilla che lascia intendere quel che accadrà da oggi in avanti: “L’impegno per la battaglia elettorale – scrive Hofer – non è andato perduto, ma è un investimento nel futuro”.

Nel momento in cui Van der Bellen festeggia la vittoria, dopo una rincorsa allo spasimo durata due giorni, è già chiaro lo scenario che verrà. L’Fpö, il Partito liberalnazionale che ha candidato Hofer, ha rinunciato ai ricorsi che aveva minacciato nelle ultime ore per improbabili brogli elettorali (difficili da dimostrare, dato che in tutti gli 11.500 seggi un rappresentante del partito ha seguito e controllato lo spoglio delle schede), ma è pronto alla prossima battaglia, che è quella delle elezioni politiche del 2018, dove è quasi scontato che vincerà: non soltanto sarà il primo partito, ma le altre forze politiche dimagrite di voti non riusciranno a formare un governo senza la sua partecipazione. È questo il messaggio (o la minaccia) implicita nelle parole di Hofer.

Intanto però ieri ha vinto l’Austria che non condivide le idee della destra populista e l’Europa ha tirato un sospiro di sollievo, perché si è evitato per un pelo che per la prima volta un esponente di un partito di estrema destra, in cui convivono elementi nostalgici del passato nazista, diventasse presidente della Repubblica. Temendo le reazioni che ci sarebbero potute essere sul piano internazionale, già al mattino il ministro degli esteri Sebastian Kurz aveva diffuso una nota, per rassicurare che “l’Austria rimane un partner responsabile sul piano europeo, indipendentemente da chi sarà il nuovo presidente” e aveva lanciato un appello a rispettare comunque il risultato, perché si trattava di “una scelta libera, corretta e democratica”.

L’elezione di Alexander Van der Bellen ha cancellato d’un colpo ogni preoccupazione per le reazioni internazionali, che avrebbero potuto isolare l’Austria come ai tempi della presidenza  Waldheim. Il nuovo presidente, tredicesimo nel dopoguerra, non è molto noto all’estero, ma ha una biografia che rassicura. Incomincia come quella dei tanti bambini profughi a cui oggi l’Austria offre asilo. Anche lui profugo, figlio di profughi: padre russo (di famiglia nobile originaria dei Paesi Bassi), madre estone, in fuga dall’Estonia dopo l’arrivo dei sovietici, “Asylanten” a Vienna, finché sopraggiunge l’Armata rossa. Fuga da Vienna alla Kaunertal, in Tirolo, dove Van der Bellen (che gli amici chiamano “Sascha”, vezzeggiativo in russo di Alexander) cresce e studia, laureandosi in economia. Diventa docente universitario, insegna scienza delle finanze a Innsbruck e a Vienna.

In politica entra quasi per caso. Prima nel Partito socialdemocratico e poi, convinto da un suo studente, nel movimento dei Verdi. Ma “Sascha” è un ambientalista atipico, di quelli che qui in Austria definiscono “realo”, cioè concreto, con i piedi per terra, che sa coniugare ambientalismo con le leggi dell’economia, senza estremismi. Non è quindi un verde “fondamentalista” e men che meno un “estremista di sinistra”, come alcuni avversari lo dipingono. È un politico schivo, di poche parole, dotato del senso dell’umorismo, refrattario ad atteggiamenti populistici e pronto a fare autocritica, anche quando ciò potrebbe nuocergli o nuocere alla sua parte politica. Tutte qualità per cui è sempre stato stimato anche dai suoi avversari. Per capire il tipo, può bastare il suo ultimo appello elettorale: “Se c’è qualcuno che non mi può soffrire, ma ancor meno può soffrire Hofer, ebbene lo prego di andare a votare il 22 maggio e di chiudere un occhio”.

Per 11 anni, dal 1997 al 2008, è stato portavoce dei Verdi e capogruppo in Parlamento, riuscendo a trasformare una forza politica perennemente lacerata al suo interno in un movimento finalmente unito e organizzato. Con lui i Verdi austriaci passano dal 4 all’11 per cento e acquistano peso a livello nazionale, tanto da entrare nelle giunte dell’Alta Austria, di Vienna e tre anni fa anche della Carinzia.

Nel 2014, dopo una breve parentesi di impegno nel consiglio comunale di Vienna, lascia la politica attiva, forse avendo già in mente l’intenzione di candidarsi alla presidenza della Repubblica. Ma vuole farlo da indipendente, per contare anche sui voti di elettori estranei al suo movimento. In realtà la campagna elettorale è stata pagata dai Verdi (2 milioni di euro), che gli hanno messo a disposizione l’organizzazione del partito. Ma l’obiettivo lo ha comunque raggiunto, perché quel 50,35% di elettori che hanno votato per lui provengono evidentemente da aree politiche diverse.

Ad essi Van der Bellen aveva rivolto un messaggio che puntava molto su una riforma dello Stato, sulla solidarietà, ma soprattutto su un convinto europeismo. È stato quest’ultimo il principale elemento distintivo rispetto al rivale Hofer. Ed è questa anche la ragione dell’unico pronunciamento “trasgressivo” fatto da Van der Bellen in campagna elettorale, quando ha dichiarato che non avrebbe conferito un incarico di governo a Heinz-Christian Strache, il leader del partito di Hofer, proprio in quanto contrario ai valori su cui si fonda l’Ue.

Quando tra due anni forse verrà quel momento, si vedrà. Intanto alla Hofburg ci si prepara per il giuramento, in calendario l’8 luglio.

 

NELLA FOTO, la gioia di “Sascha” Van der Bellen alla notizia della vittoria, dopo una rincorsa allo spasimo durato due giorni.

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