Sabato 18 Maggio 2024

12.03.11 Thyssen-BornemiszaDomenica delle Palme del 1945. Si fa festa nel castello di Rechnitz, nei pressi del confine ungherese, che la contessa Margit Batthyány, nata Thyssen-Bornemisza, ha messo generosamente a disposizione dei gerarchi nazisti. A soli 15 chilometri si ode il rombo dell’artiglieria dell’Armata rossa che avanza inesorabile, ma gli alti ufficiali della Gestapo e delle Ss hanno altro a cui pensare. In quello sperduto angolo di un’Austria affamata e devastata dai bombardamenti, lo champagne scorre a fiumi.

 

Si beve per festeggiare – non si sa bene cosa – o più verosimilmente per distogliere il pensiero dalla fine imminente del Reich millenario e dalla resa dei conti che seguirà. La folle euforia degenera e presto il party assume tinte grottesche e truculente. Intorno alla mezzanotte l’Ortsgruppenleiter Franz Podezin distribuisce le armi e invita alla caccia. Ma le prede non sono animali selvatici del Burgenland. Agli ospiti di casa Batthyány, ormai ubriachi, vengono offerti come bersaglio ebrei ungheresi, impiegati nei dintorni nell’inutile allestimento di un “vallo sud-orientale”, che avrebbe dovuto fermare i russi.

 

Questa umanità dolente viene prelevata dai lager e portata con dei camion nella località di Kreuzstadl, non lontano dal castello. Viene spogliata e allineata sul ciglio di una fossa che altri hanno scavato. Arrivano gli ospiti del castello di Rechnitz, puntano traballanti i fucili e fanno fuoco contro quello schieramento umano ignudo e inerme. Alcuni cadono subito trafitti dai proiettili, altri vengono finiti a bastonate. Alla fine dell’orgia nella fossa si contano 180 cadaveri.

 

Rechnitz è un capitolo poco noto della storia del nazismo, dove l’assassinio diventa divertimento. Un capitolo infame e aberrante che ora Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura, ha trasposto in un’opera teatrale che va in scena in questi giorni nel Schauspielhaus di Graz, con la regia di Michael Simon. Ma, proprio perché aberrante, la scrittrice austriaca non ne ha fatto una ricostruzione teatrale, perché quel che è avvenuto a Rechnitz – spiega – sarebbe risultato indicibile su un palcoscenico. La Jelinek, ispirandosi alle tragedie greche, ha escogitato allora lo stratagemma del messaggero, che riferisce quel che ha visto a Kreuzstadl e l’episodio, intollerabile per una normale mente umana, diventa tollerabile attraverso il filtro delle sue parole.

 

L’opera della scrittrice austriaca si intitola “Rechnitz (Der Würgeengel)”, con esplicito riferimento in quella parentesi all’”Angelo sterminatore” di Luis Buñel. L’autrice dichiara infatti di essersi ispirata al contesto sociale descritto in modo surreale dal regista spagnolo, anche se i meccanismi sono diversi e opposti: nel “Angelo sterminatore” la servitù se ne va, abbandonando a se stessi gli ospiti della cena, mentre in “Rechnitz” ci sono i messaggeri che raccontano del massacro, mentre sono gli ospiti ad essersene già già andati.

 

Prima che a Graz, l’opera della Jelinek era stata rappresentata a Monaco. Ma è la “prima” austriaca quella che conta, per l’irrisolto rapporto dell’Austria con le sue passate complicità con il nazismo. Come del resto la stessa vicenda di Rechnitz dimostra. Nel 1947, a guerra finita, su il caso apre un’inchiesta la Procura di Vienna, che porta all’imputazione di pochi e alla condanna di due soli, peraltro per reati marginali e non per la strage dei 180 ebrei ungheresi. I testimoni erano stati minacciati, ricattati, costretti a ritrattare. Due erano stati addirittura uccisi. Podezin riesce a scomparire all’estero. Il comandante nazista trascorre un breve periodo in carcere e poi continua a vivere indisturbato e rispettato nella zona.

 

Non è stato mai chiarito il ruolo della padrona del castello, Margit Batthyány, presente quella Domenica delle Palme alla festa, assieme al marito. Nonostante i sospetti di complicità con gli assassini e di favoreggiamento nei loro confronti, gode nel dopoguerra di una inspiegabile immunità e può vivere serenamente a Lugano fino alla sua morte, avvenuta nel 1989, occupandosi dei suoi cavalli.

 

La dinastia dei Tyssen, gli industriali della Ruhr, di cui Margit Batthyány era entrata a far parte per matrimonio, era stata fautrice e finanziatrice del movimento nazionalsocialista fin dagli anni ’20 del secolo scorso, prima ancora che Hitler andasse al potere. Una nipote di Margit, Francesca Thyssen-Bornemisza, è andata sposa a Carlo d’Absburgo (primogenito di Otto, ultimo discendente della casa imperiale d’Austria) e ora vuole voltare pagina. Si è assunta l’impegno personale di promuovere ricerche per far piena luce sull’episodio di Rechnitz e sulle responsabilità dei nazisti ed eventualmente anche di membri della sua famiglia.

 

Al momento non si sa neppure con certezza dove si trovi la fossa con i 180 cadaveri di ebrei assassinati. L’unica ricerca sul massacro di Rechnitz fu condotta da Margareta Heinrich ed Eduard Erne, autori di un film-documentario del 1994 e promotori anche di scavi nella zona. Scavi che portarono alla scoperta dei cadaveri di 18 lavoratori coatti che nel 1945 avevano dovuto preparare la fossa per l’esecuzione notturna e poi erano stati essi stessi eliminati. In quel posto ora è stato eretto un monumento in memoria delle vittime dell’eccidio.

 

Nella foto, da sinistra, Heinrich Thyssen, la figlia Margit Batthyány, il marito di lei Ivan Batthyány e il fratello più giovane Hans Heinrich, collezionista delle opere d’arte ora esposte nel museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

 

“RECHNITZ (DER WÜRGEENGEL)” [“Rechnitz (L’angelo sterminatore)”], di Elfriede Jelinek, regia di Michael Simon, teatro Schauspielhaus di Graz. Repliche 3, 4 e 18 aprile; 18 e 24 maggio. Ore 19.30. Informazioni e prevendita biglietti: www.schauspielhaus-graz.com, tichets@buehnen-graz.com.

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