All’inizio tutto sembrava molto chiaro: l’Austria avrebbe messo in funzione gli impianti di risalita, dando inizio alla stagione sciistica invernale, infischiandosene delle insistenti richieste di Italia, Germania e Francia, perché vi rinunciasse almeno fino a dopo le feste natalizie, per non favorire una terza, funesta ondata di Covid-19. Poi, a mano a mano che il numero di nuove infezioni e di decessi aumentava anche in Austria, c’erano stati più ripensamenti in successione, che avevano portato alla decisione di aprire i poli sciistici il 24 dicembre, ma lasciando chiusi alberghi e ristoranti.
A quella data mancano solo due giorni, ma nulla è ancora certo. Non si sa, cioè, se gli austriaci potranno o non potranno sciare o se lo potranno fare in alcuni luoghi, ma non in altri. Il nodo è rappresentato dalle condizioni poste dal governo, per esigenze di sicurezza sanitaria, in particolare dall’obbligo di indossare la mascherina del tipo FFP2 (e non la semplice maschera naso-bocca), che i gestori degli impianti di risalita non vogliono.
Ieri mattina era circolata la notizia che questo dispositivo di protezione non era più considerato necessario, in contraddizione con ciò che aveva affermato venerdì il vicecancelliere e ministro per lo Sport Werner Kogler. Passano soltanto poche ore e arriva la smentita della smentita. Il Ministero della Salute rilascia una nota in cui ribadisce le precauzioni già note, quali il distanziamento e la riduzione del 50% dei posti in funivie e telecabine, nonché sulle seggiovie (se protette da cupole di plexiglas), ma aggiunge l’obbligo della mascherina FFP2 nella zona di accesso agli impianti e durante il trasporto.
Per la verità le modalità di prevenzione dell’epidemia sono di competenza dei Länder, ciascuno dei quali può adottare le misure che ritiene migliori, ma le linee generali sono dettate dal governo centrale, che può decidere, per esempio, quale tipo di mascherina sia meglio. Vienna ha indicato la FFP2, ma non è detta l’ultima parola. Ieri pomeriggio il governatore del Salisburghes e coordinatore dei Länder, Wilfried Haslauer, si è precipitato nella capitale, per cercare di convincere il ministro della Salute a cambiare idea.
Il problema delle mascherine FFP2 non è soltanto di costo, ma anche di possibilità, o impossibilità, di riuscire a procurarsene quelle che servono entro due giorni. I responsabili delle stazioni sciistiche occidentali (Vorarlberg, Tirolo e parte del Salisburghese) hanno già dichiarato che, se ci sarà l’obbligo delle FFP2, non apriranno gli impianti. Non riescono a capacitarsi perché il ministro imponga questo dispositivo per impianti di risalita all’aria aperta e non, per esempio, sui mezzi pubblici di trasporto. I grandi comprensori salisburghesi Amadè e Schladmig si erano già dotati di milioni di mascherine da offrire in omaggio a chi acquistava lo skipass giornaliero. Se ora non servono più, perché diventa obbligatoria la FFP2, che se ne faranno?
Anche in Carinzia c’è rabbia per come stanno andando le cose e non si è ancora capito che cosa accadrà il 24 dicembre. Ma ormai agli sciatori italiani, che stavano già programmando gite giornaliere a Pramollo, ormai interessa poco, perché in questi giorni tutta l’Italia diventa zona rossa e quindi non ci si potrà muovere dal comune all’altro e tanto meno andare oltre confine.
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