Sabato 18 Maggio 2024

13.09.00 Vienna, Adria Austellung 1913 09 (cartolina ufficiale)Trieste ha la figura di una sirena, dal seno nudo e dalle gambe riunite in una pinna dalle squame perlacee. Un cavaliere con addosso un’armatura medioevale la sorregge sul suo destriero. Sullo scudo appaiono le insegne imperiali e la corona reale di Santo Stefano e si intuisce che simboleggia l’Austria. Anzi, l’imperial-regia monarchia absburgica che tiene fra le sue braccia Trieste.

 

La scena descritta compare nel manifesto Jugendstil che cento anni fa annunciava l’”Oesterreichische (proprio così, con l’”Oe” anziché l’”Ö”) Adria Austellung”, l’esposizione che l’Austria di allora dedicava alle sue terre affacciate sul mare. Era il 1913, di lì a un anno sarebbe scoppiata la guerra, che avrebbe segnato la fine di un impero durato oltre sei secoli, e Vienna proponeva al mondo una mostra su Trieste e sulle coste adriatiche dell’impero, l’ultimo grande evento di portata internazionale prima del crollo.

 

L’area è quella del Prater, la stessa che nel 1873 aveva ospitato l’Esposizione universale (la prima, nell’Europa di lingua tedesca), una manifestazione che aveva richiamato a Vienna decine di teste coronate, compreso lo scià di Persia, ma che era coincisa anche con una delle più gravi crisi economiche di fine ‘800. Quarant’anni dopo, al tempo dell’”Adria Austellung”, invece, il Paese s’era ripreso e agli austriaci era tornata la voglia di guardarsi in giro e di sognare. Trieste, l’Istria, la costa dalmata, grazie anche ai nuovi collegamenti ferroviari e allo sviluppo del turismo, non erano più un altrove remoto, ma per la gran parte dei viennesi e degli austriaci restavano comunque mete difficili da raggiungere. L’”Adria Austellung” aveva così la funzione di rendere a portata di mano l’irraggiungibile, il sogno nel cassetto. Un’opportunità di cui avevano approfittato ben 2 milioni e 80 mila visitatori, un numero davvero sbalorditivo, che fra il 3 maggio e il 5 ottobre di cento anni fa avevano affollato il quartiere espositivo del Prater.

 

Attorno alla grande “Rotunde”, l’enorme edificio a cupola (all’epoca la più grande al mondo, con un diametro di 108 metri) ereditato dall’esposizione universale di 40 anni prima, era stato ricostruito il paesaggio adriatico. Quello urbano, si intende: un palazzo pretorile, un campanile veneziano alto 40 metri, le strade di Abbazia, la Ca’ d’Oro di Pirano, addirittura una copia identica del Palazzo dei Rettori di Ragusa. Gli edifici si affacciavano su un piccolo bacino d’acqua artificiale, che doveva dare l’impressione di un vero porto. Al molo era ormeggiato il piroscafo “Wien”, simulacro di un piroscafo vero, che però non aveva eliche e timoni, ma al suo interno un lussuoso ristorante. Un’ambientazione tanto simile per dimensioni e volumi a quella di una nave vera che, a mostra conclusa, il suo arredamento sarebbe stato riutilizzato per una nave di nuova costruzione del Lloyd Austriaco.

 

Cento anni dopo la rilettura di quella mostra straordinaria consente di rilevarne tutti gli aspetti contradditori, di cui i contemporanei probabilmente non erano consapevoli. Da un lato il contenuto esplicito di promozione dei traffici, quelli marittimi innanzitutto, che presupponevano rapporti amichevoli con le nazioni vicine e lontane raggiunte a quel tempo dalle navi del Lloyd. Dall’altro le avvisaglie della guerra devastante che sarebbe scoppiata soltanto pochi mesi più tardi.

 

Quale altro messaggio poteva cogliere il visitatore che metteva piede nella “Rotunde”, baricentro dell’intera esposizione? Appena entrato sotto la grande cupola, si ritrovava come per incanto sul ponte di comando di una nave da guerra, con tutte le sue dotazioni: dalla cabina del comandante alla mensa ufficiali, dalle postazioni di combattimento alle cucine. La Marina da guerra austriaca coglieva l’occasione dell’esposizione per mettere in mostra tutta sua potenza: i moderni strumenti della tecnologia del tempo, i sistemi di difesa costiera, le artiglierie navali, le armi individuali, i siluri che all’epoca dovevano apparire meraviglie della tecnica come oggi lo sono i drone o i satelliti, le turbine a vapore.

 

Non aveva soltanto scopi informativi la presenza della Marina militare absburgica nella “Rotunde”. Era anche un messaggio politico, un’ostentazione di potenza. Far sapere a tutti di che cosa era capace la sesta flotta da guerra più grande al mondo. Soltanto pochi mesi prima era entrata in servizio la “Viribus unitis”, nave ammiraglia e fiore all’occhiello della Marina imperiale, varata nel 1911 dai cantieri di Trieste. Uno strumento bellico galleggiante come non s’era mai visto prima. A buon intenditor poche parole.

 

L’”Adria Austellung”, naturalmente, non era soltanto Marina da guerra. L’ultima esposizione della monarchia absburgica, prima della “finis Austriae”, doveva far vedere al mondo le bellezze naturali, la ricchezza culturale, le potenzialità economiche delle sue regioni adriatiche. I padiglioni avevano preso la forma di edifici realmente esistenti nelle cittadine costiere, da Trieste in giù. Nel ricostruito Palazzo dei Rettori di Ragusa, per esempio, il visitatore aveva un incontro ravvicinato con la cultura, rappresentata da opere delle Wiener Werkstätte, della Secession e del meno noto Hagenbund. Il Palazzo pretorio di Capodistria ospitava gli uffici della posta e del telegrafo e addirittura una postazione telefonica accessibile a chiunque. C’erano inoltre una sala di lettura, con libri messi a disposizione della casa editrice Hartleben, un ufficio turistico, uno sportello bancario, un ufficio stampa. L’atmosfera mediterranea dell’Alto Adriatico doveva essere suggerita da un nucleo di case della vecchia Abbazia, con i suoi vicoli tortuosi, le arcate, perfino una tipica osteria.

 

Lungo le rive del porticciolo erano ormeggiate barche da pesca con reti e attrezzatura e c’era persino un’isola nel mezzo di quel mare. Tre ponti collegavano fra loro le due sponde e così, in pochi minuti, si poteva arrivare fino alla “Rotunde”, che stava in fondo. Era quella la meta a cui soprattutto miravano i visitatori. Le cronache dell’epoca riferiscono di un affollamento ininterrotto. Gli strumenti di guerra, allora come oggi, avevano un inspiegabile fascino sulle persone. Quelle di cento anni fa salivano spensieratamente sulla nave da guerra ricostruita sotto la cupola della “Rotunde”, senza rendersi conto di trovarsi in realtà sulla tolda di un Titanic già in viaggio verso la catastrofe.

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