Sabato 18 Maggio 2024

13.10.28 Althofen, cantiere stabilimento Bifrangi - CopiaLa “campagna acquisti” di investitori italiani da parte austriaca continua e, stando almeno al numero degli appuntamenti in programma, ha aumentato il suo ritmo. Se finora le due agenzie impegnate sul fronte sud – l’Entwicklungsagentur Kärnten per la Carinzia e l’Austrian business agency per il resto dell’Austria – calavano sul territorio italiano due o tre volte all’anno, ora siamo a un vero e proprio bombardamento. Si comincia mercoledì, con un incontro al “Molino” di Glaunicco, comune di Camino al Tagliamento, per ritentare con gli imprenditori friulani, e si prosegue l’11 novembre all’hotel Santo Stefano di Torino, il 21 novembre alla Villa Fenaroli di Rezzate (Brescia), il 27 novembre al ristorante Garganell di Bologna. I quattro incontri di quella che potremmo definire la “campagna d’autunno” si aggiungono a quelli già svoltisi in marzo ad Asolo e prima ancora in febbraio a Milano.

 

Insomma, la caccia agli imprenditori italiani non solo non è cessata – come sembra avesse promesso il governatore della Carinzia, Peter Kaiser, a un inviperito Luca Zaia – ma è stata addirittura intensificata. Per la verità, Kaiser non aveva promesso un “cessate il fuoco” al collega veneto. Aveva semplicemente detto che l’Eak (sigla di Entwicklungsagentur Kärnten) sarebbe stata messa in liquidazione, ma non aveva aggiunto (o forse lo aveva fatto, ma nella traduzione dell’interprete non s’era capito) che il suo personale e la sua attività sarebbe proseguita nell’ambito della holding regionale che gestisce tutte le partecipazioni economiche del Land. Insomma, tutto come prima, salvo un cambiamento di nomi e di carta intestata.

 

C’è da essere preoccupati, dunque, e l’irritazione di Zaia è giustificata? Dovrebbero preoccuparsi e irritarsi anche Debora Serracchiani e i presidenti delle altre regioni del nord Italia insidiate dalle avances austriache? I fatti dicono di no. Nonostante l’immane sforzo, personale e finanziario, sostenuto dalle due agenzie austriache (ma sembra che le spese le paghi tutte la Carinzia), i risultati sono a dir poco modesti. Le aziende che finora hanno effettivamente aperto filiali in Carinzia si contano sulle dita di due mani. Quest’anno è stata una sola, la Bifrangi di Mussolente (Vicenza), che ha realizzato o sta realizzando uno stabilimento ad Althofen, dove prevede di assumere nel lungo periodo 70 persone. È probabilmente l’investimento più importante in Carinzia di imprenditori italiani, perché quella dozzina che vi hanno messo piede negli ultimi 15 anni, hanno creato ciascuno non più di 20 o 30 posti di lavoro (una società di Roma addirittura meno di dieci).

 

Eak e Aba raccontano una storia diversa, secondo cui vi sarebbe una vera e propria fuga di aziende italiane, attratte dalle condizioni fiscali e burocratiche più favorevoli offerte dall’Austria.  Le ultime comunicazioni ufficiali delle due agenzie riferiscono di 43 nuovi insediamenti in Carinzia nel 2012, più altri 20 nei soli primi nove mesi del 2013. Quali sono queste aziende e dove si sono impiantate? L’Eak non vuole dare risposta, per ragioni di privacy, dice. Inutile cercarle nelle zone industriali di Völkermarkt, Spittal, Althofen, Arnoldstein: non se ne trova traccia.

 

Tempo fa avevamo avanzato il sospetto che quei numeri non fossero stati inventati di sana pianta, ma che ad essi non corrispondessero fabbriche con macchinari e operai, bensì società nate solo  sulla carta, regolarmente registrate alla Camera di commercio, ma presenti soltanto con un recapito e un fax presso un commercialista o uno studio legale di Klagenfurt o di Villach.

 

A quale scopo? Una possibile spiegazione ci viene suggerita da un fatto di cronaca di cui hanno riferito due giorni fa gli organi di stampa veneti. La Guardia di finanza ha scoperto che un’azienda di San Stino di Livenza (Venezia), specializzata nel trattamento dei metalli per l’industria, aveva trasferito la sede fiscale a Villach, per pagare meno tasse. L’azienda continuava a operare in Italia, aveva tutta la sua produzione e i suoi dipendenti in Italia, ma dal 2006 non aveva più dichiarato i suoi redditi al fisco italiano, fingendo di essere… austriaca. Secondo le Fiamme gialle, le tasse non pagate ammonterebbero a 10 milioni di euro.

 

Prendiamo pure la notizia con le pinze e ammettiamo che forse l’evasione potrebbe non essere avvenuta nel modo e nelle dimensioni indicate  nel rapporto della Guardia di finanza. Il caso tuttavia ci illumina sulle ragioni per cui un imprenditore italiano potrebbe decidere di trasferirsi oltreconfine senza trasferirsi realmente, incrementando così le stupefacenti statistiche di Eak e Aba. Senza che Eak e Aba ne siano a conoscenza, ovviamente. Ma se le cose stanno in questo modo, non siamo in presenza di una fuga di aziende, bensì di una fuga di contribuenti. Zaia e Serracchiani non hanno alcun motivo di preoccuparsi: il fenomeno non riguarda loro, ma il fisco italiano e la Guardia di finanza.

 

Nella foto, il cantiere dello stabilimento che la Bifrangi sta realizzando ad Althofen, in Carinzia.

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