Domenica 2 Giugno 2024

012 Karl RennerUn lettore dell’articolo dal titolo “Un processo all’Austria filonazista nel film sul macellaio di Vilnius”, uscito in questo blog il 1. febbraio, mi ha posto la domanda: “Lei intende con “Austria filonazista”, l’Austria socialdemocratica di Renner, Körner e Schärf, già detenuti dai nazisti, come uno Stato “filonazista” oppure intende qualcos’altro?”.

Il tema è complesso è richiederebbe un’analisi della storia dell’Austria e dell’Europa almeno dalla seconda metà dell’Ottocento, per comprendere come dopo il crollo dell’impero austriaco tutte le forze politiche esistenti allora a Vienna, escluse insignificanti frange lealiste monarchiche, auspicassero l’annessione della minuscola Austria del 1918 alla Germania. La parola “Anschluss”, che significa appunto annessione, viene da molti (anche dall’autore di questo blog) scritta sempre tra virgolette, per l’ambiguità del suo significato.

Non approfondiamo qui la questione, per non farla troppo lunga, ma crediamo sia chiaro a tutti che l’”Anschluss” alla Repubblica di Weimar bramato dalla stragrande maggioranza delle forze politiche austriache dopo la Prima guerra mondiale – tanto che nella prima versione della Costituzione appena scritta l’Austria era chiamata “Deutschösterreich” – sia ben diverso dall’”Aschluss” attuato nel marzo del 1938 da Hitler, con la forza militare e prima ancora con una pressione politica e diplomatica che aveva schiacciato il debole governo fascista austriaco.

L’annessione dell’Austria al Terzo Reich poco dopo fu plebiscitariamente sancita da un referendum. Sembrava che d’improvviso quasi tutti gli austriaci fossero diventati nazisti. Abbiamo esperienza di plebisciti del genere anche nel nostro Risorgimento e sappiamo che non sempre il voto aveva espresso la reale volontà delle popolazioni. In ogni caso gli austriaci di fine ’38, anche se non proprio tutti, aderirono di buon grado al Reich tedesco. Un po’ per le ragioni storiche cui abbiamo fatto cenno sopra, un po’ perché la Germania di allora prometteva  migliori condizioni di vita rispetto a un’Austria in miseria, un po’ perché l’antisemitismo di Hitler non turbava troppo le coscienze austriache: anche il partito fascista, di matrice cristiano-sociale, era antisemita, la stessa Chiesa cattolica austriaca era fortemente antisemita.

Non è un caso che il cardinale Theodor Innitzer, primate della Chiesa austriaca, alla vigilia del referendum sull’”Anschluss” avesse invitato i suoi fedeli a votare sì. La stessa cosa aveva fatto anche Karl Renner, uno dei personaggi menzionati dal nostro lettore, a quel tempo (ma anche prima, ma anche dopo) faro della socialdemocrazia austriaca. Il fatto costituisce già una parziale risposta alla domanda del lettore, ma non sorprende. I socialdemocratici erano ovviamente avversari dei nazionalsocialisti, ma non all’annessione alla Germania. E sulla questione ebraica stavano alla finestra: non erano propriamente antisemiti, ma ritenevano il capitalismo ebreo un nemico di classe; se qualcun altro pensava a toglierlo di mezzo, tanto meglio.

Ma Renner a quel tempo non si era limitato a dichiararsi favorevole all’”Anschluss”. Con un entusiasmo che rasenta il servilismo si era anche offerto ai nuovi padroni di far personalmente propaganda per il sì sui giornali e con manifesti, per invitare “i vecchi socialdemocratici a votare il 10 aprile (del 1938, nda) per la Grande Germania e per Adolf Hitler”. E l’anno dopo redasse uno scritto in cui non solo approvava l’occupazione dei Sudeti, ma anzi elogiava la determinazione con cui Hitler aveva condotto l’azione. Insomma, c’era già stata la “notte dei cristalli” e lui continuava ad ammirare il dittatore nazista.

Veniamo al dopoguerra. La prima sorpresa ci viene dai registri del Partito nazionalsocialista, che in quel momento contava ancora 536.662 iscritti. Considerando anche i familiari e tenendo conto di quanti erano caduti in guerra o si trovavano nei campi di prigionia in Russia e altrove, appare evidente che un quarto della popolazione aveva dato l’adesione formale al nazismo.

La denazificazione dell’Austria imposta dagli Alleati vincitori dura poco e, a differenza di quel che invece accadde in Germania, non ottiene grandi risultati. Un’indagine demoscopica condotta dagli occupanti americani, pubblicata in uno studio dello storico austriaco Oliver Rathkolb, ci rivela che a fine 1947 il 51,9% dei suoi connazionali considerava il nazionalsocialismo “un’idea buona ma mal applicata”. Insomma, la guerra scatenata dal nazismo era finita, l’Austria era in macerie e stava contando i suoi morti, il mondo aveva appreso l’orrore dell’Olocausto, ma ancora oltre la metà degli austriaci non si sentiva di condannare senza se e senza ma l’ideologia che aveva provocato tutto ciò.

E i socialdemocratici di Renner & Co.? Quando cessa l’ostracismo nei confronti degli ex nazisti e questi possono tornare a votare, il Partito socialdemocratico apre una campagna acquisti per averli con sé. Innocui nazisti di paese o criminali di guerra, poco importa. È in questo modo che Leopold Wagner, già capo della Hitlerjugend in Carinzia, potrà diventare in seguito governatore del Land. Ed è sempre così che nel primo governo monocolore socialdemocratico di Bruno Kreisky entrano a far parte ben quattro ministri ex nazisti, uno dei quali addirittura membro delle SS. Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti, che aveva denunciato il caso, verrà pesantemente insultato dall’allora capogruppo dell’Spö in Parlamento, Heinz Fischer (futuro presidente della Repubblica), che aveva chiesto addirittura una commissione d’inchiesta nei suoi confronti.

Questo ambiguo rapporto dei socialdemocratici con il nazismo si rivela anche nel film sul “macellaio di Vilnius”, a cui era dedicato l’articolo pubblicato quattro giorni fa. Franz Murer, responsabile dell’eccidio di migliaia di ebrei in Lituania, era stato assolto, nonostante le prove schiaccianti a suo carico, su pressione del ministro della Giustizia di allora, il socialdemocratico Christian Broda. Per questa ragione in quell’articolo avevamo scritto: “L’assoluzione al “macellaio di Vilnius” era stata dunque un’assoluzione che gli austriaci avevano dato a se stessi, perché tutti, più o meno, potevano considerarsi complici di Franz Murer, per aver aderito con entusiasmo al nazismo, aver partecipato con zelo ai suoi crimini o semplicemente per aver guardato dall’altra parte e taciuto, per indifferenza o per paura”.

Un’ultima precisazione su Karl Renner. Non ebbe la sorte di molti altri oppositori del regime nazista, che finirono in carcere e alcuni addirittura nei campi di concentramento. Renner non trascorse nemmeno un giorno in cella. I nazisti gli concessero di vivere nella sua casa di Gloggnitz, in Bassa Austria, dove scrisse libri e versi poetici ispirati a Lucrezio durante tutti gli anni della guerra.

 

NELLA FOTO, Karl Renner, primo cancelliere dell’Austria repubblicana, dal 1918 al 1920, nuovamente cancelliere dopo la Seconda guerra mondiale alla guida di un governo provvisorio, poi primo presidente della Seconda repubblica, fino alla sua morte nel 1950.

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