Sabato 18 Maggio 2024

La confessione infinita di Thomas Schmid – 15 giorni di interrogatorio, 454 fogli di verbale – stanno mettendo in seria difficoltà non soltanto Sebastian Kurz e i suoi più stretti collaboratori, ma anche un certo numero di uomini di affari vicini all’ex cancelliere (dove la parola “vicini” sta a significare il più delle volte finanziatori della sua attività politica in cambio di favori). Chi ci ha seguito in questi giorni sa che Schmid era stato uno dei più stretti collaboratori di Kurz nella sua scalata al potere e che ora sta vuotando il sacco, per spiegare agli investigatori della Procura di Stato contro la corruzione con quali metodi leciti e non leciti quella scalata era stata effettuata. Non lo fa per pentimento, ma per beneficiare dei vantaggi riservati ai “Kronzeuge”, vale a dire ai “collaboratori di giustizia”, che possono sperare in uno sconto di pena o addirittura in nessuna pena, se forniscono agli inquirenti informazioni che questi non sappiano già e soprattutto che consentano di inchiodare i delinquenti.

Qualcuno, nei commenti ai post precedenti, aveva osservato che in Austria chi è coinvolto in una inchiesta giudiziaria ha il buon senso di farsi da parte, cosa che non accadrebbe in altri Paesi. Probabilmente si riferiva all’Italia. Ma le cose non stanno proprio così.

Innanzitutto Kurz non si è dimesso da cancelliere perché perseguito dalla Procura anticorruzione. Anzi, ha reagito vigorosamente, accusando la Procura di agire per scopi politici (anche qui ci sarebbero “toghe rosse”) e cercando di bloccarla con ogni mezzo, avvalendosi della complicità di altri organi a lui vicini ai vertici dell’ordinamento giudiziario. Si è dimesso soltanto per le pressioni ricevute all’interno dell’Övp, dopo che erano venuti alla luce i metodi brutali con cui aveva fatto fuori il suo predecessore alla guida del suo stesso partito, Reinhold Mitterlehner. Dopo Kurz, si sono immediatamente dimessi anche i suoi sodali. E non poteva che andare così: non erano collaboratori che “Basti” si era scelto per la loro competenza, ma soltanto per la loro lealtà. Uscito di scena il loro capo, non sarebbero stati in grado di fare alcunché.

A conferma di queste parole sta il fatto che uno degli uomini più vicini a Kurz, ma dotato di talento politico e con una storia di partito incominciata prima dell’era Kurz, non soltanto non si è dimesso, ma è rimasto incollato alla poltrona. Parliamo di Wolfgang Sobotka (nella foto), primo presidente del Parlamento e seconda carica dello Stato, dopo quella del presidente della Repubblica.

Di Sobotka avevamo già sentito parlare. Era quello che da ministro degli Interni aveva blindato i confini con l’Italia ai tempi delle ondate migratorie. E che, sempre da ministro degli Interni, aveva boicottato il governo di cui faceva parte, fino a farlo cadere, pur di agevolare la conquista della Cancelleria federale da parte di Kurz.

Il nome di Sobotka compare nel verbale d’interrogatorio di Thomas Schmid. Questi ha riferito agli inquirenti che, al tempo in cui era il potente segretario generale del Ministero delle Finanze, Sobotka si era rivolto a lui per chiedergli di bloccare le verifiche fiscali in corso sui conti di due fondazioni vicine all’Övp della Bassa Austria, la fondazione “Alois Mock” e la fondazione “Erwin Pröll”. Sono – o erano, perché nel frattempo sono state sciolte – due istituzioni della Bassa Austria, Land da cui proviene Sobotka, che era anche presidente della prima.

Di che cosa si occupavano? Difficile capirlo. Facendo tesoro di ciò che ebbe a rivelare Heinz-Christian Strache nel famoso video di Ibiza, erano probabilmente soltanto scatole vuote utilizzate per triangolare finanziamenti illeciti destinati all’Övp. La fondazione “Mock”, per esempio, era stata sciolta immediatamente dopo la scoperta dei soldi forniti sottobanco dalla holding del gioco d’azzardo Novomatic.

Il verbale dell’Anticorruzione registra a pagina 6 che la richiesta di Sobotka di bloccare il fisco aveva avuto successo. Quella che noi chiameremmo l’Agenzia delle entrate aveva richiamato i suoi ispettori, archiviando l’indagine fiscale sulle due fondazioni.

Alla luce di queste accuse i partiti di opposizione (ma anche Nina Tomaselli, capogruppo dei Verdi, che sono al governo con l’Övp) hanno chiesto le dimissioni di Sobotka, che però ha fatto orecchie di mercante. Contro di lui, peraltro, la Procura anticorruzione sta procedendo anche per un’altra vicenda, che lo vede accusato di abuso di ufficio. I fatti risalgono al 2017, quando Sobotka era ancora ministro degli Interni. In quella sua veste sarebbe intervenuto per impedire la nomina a vicedirettrice della Polizia di Vienna di una certa Andrea Jilek, perché considerata troppo vicina all’Spö.

Che Wolfgang Sobotka si dimetta appare poco probabile. Il regolamento interno del Parlamento non prevede questa eventualità, neppure in presenza di un voto di sfiducia dell’assemblea. L’aspetto più paradossale e grottesco della situazione è che Sobotka, in quanto presidente del Parlamento, è anche presidente della commissione parlamentare di inchiesta che si occupa proprio dei finanziamenti all’Övp.

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