Leon era in bambino di 6 anni di Kitzbühel. Dalla nascita soffriva della sindrome di Syngap, una rara malattia genetica causata dalla mutazione del gene Syngap 1, che provoca problemi neurologici di vario genere, come una disabilità intellettiva, ritardi nello sviluppo, nella motricità, nel linguaggio e altri ancora. Il 28 agosto il piccolo era finito nel fiume Ache, che attraversa la località turistica tirolese ed era scomparso alla vista. Le squadre di soccorso ne avevano recuperato il corpicino senza vita su un banco di sabbia, a valle.
Un incidente? In un primo tempo era stato descritto così. Il padre aveva raccontato di essere uscito con il figlioletto sul passeggino e di aver raggiunto la sponda dell’Ache, benché fosse ormai notte. Lì qualcuno lo aveva rapinato, colpendolo di sorpresa alla nuca e facendogli perdere i sensi. Quando aveva ripreso conoscenza si era trovato circondato dai soccorritori. Accanto a lui c’era il passeggino vuoto e di Leon non c’era traccia.
In questi giorni, a distanza di quasi due anni dal fatto, la Procura di Stato, sulla scorta delle indagini svolte dalla polizia, ha chiesto il rinvio a giudizio del padre per omicidio volontario e per simulazione di reato. Sarebbe stato il genitore ad aver gettato il figlio nel fiume. Non un incidente, ma un gesto deliberato. Nella richiesta non viene indicato il movente – e questa lacuna viene sottolineata dal legale che difende il padre di Leon – ma si può supporre che possa essersi trattato del gesto di un padre disperato per le condizioni fisiche del figlioletto, che non lasciavano molte speranze di una crescita normale.
Non si sarebbe trattato di un gesto improvviso, ma di un omicidio ben premeditato. La seconda accusa, infatti, è di simulazione di reato. Il padre avrebbe portato con sé una bottiglia vuota di spumante, con cui si si sarebbe colpito con violenza alla nuca, per far credere di essere stato aggredito così dai rapinatori. Poi l’avrebbe sbattuta sull’asfalto per frantumarla e per procurarsi con cocci di vetro ferite al corpo che le perizie dell’accusa definiscono “superficiali”. Infine si sarebbe disteso a terra, simulando uno svenimento.
Così, infatti, era stato trovato poco dopo da uno che passava per caso nella zona e che aveva chiamato i soccorritori. Ad essi l’uomo aveva dichiarato la sparizione del bambino, mettendo così in moto la macchina delle ricerche.
Inizialmente la versione del padre era stata presa per buona. Solo nel corso degli accertamenti la polizia aveva incominciato a nutrire dei sospetti. Il racconto diventava giorno dopo giorno sempre meno convincente. Prima di muovere le gravi accuse nei confronti del genitore erano state svolte indagini molto approfondite: erano state interrogate una sessantina di persone, consultati vari periti di medicina legale, neurologia, psichiatria, era stato rilevato il dna di un centinaio di tracce, confrontandolo con quello di una cinquantina di persone. La polizia, inoltre, aveva pazientemente controllato ore di registrazione delle videocamere di sorveglianza della zona, nonché i cellulari, i laptop, le telefonate del padre e delle persone che avevano rapporti con lui.
Le accuse di omicidio volontario e di simulazione di reato sono state mosse al termine di questa meticolosa indagine. Gli abitanti di Kitzbühel ne sono rimasti sconvolti, soprattutto pensando allo strazio di Leon, gettato vivo nelle acque dell’Ache. L’imputato ha ora 14 giorni per presentare ricorso. Quando e se si andrà a giudizio, il collegio sarà composto da una giuria popolare. In attesa di conoscere l’esito dell’eventuale ricorso, la data del processo non è stata ancora fissata e non è stata convocata la giuria popolare.
NELLA FOTO, il passeggino vuoto sulla stradina di Kitzbühel che corre lungo l’Ache.
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