Lunedì 17 Marzo 2025

Il governo austriaco ha deciso di prolungare di altri sei mesi i controlli di polizia alle frontiere con la Slovenia e con l’Ungheria. Lo ha annunciato il ministro degli Interni, Gerhard Karner (Övp). Nei prossimi giorni ne darà comunicazione alla Commissione europea, trattandosi di un provvedimento in deroga al trattato di Schengen, che consente la libera circolazione delle persone tra i Paesi che lo hanno sottoscritto (ce ne siamo resi conti di recente con l’adesione della Croazia all’area Schengen).

Il trattato ammette deroghe qualora vi siano minacce all’ordine pubblico o alla sicurezza interna. In casi del genere gli Stati possono ripristinare i controlli alle loro frontiere. Misure del genere sono state prese più volte, anche dall’Italia, in occasione di vertici internazionali ad alto rischio di attentati o di grandi eventi sportivi. Molti Paesi lo hanno fatto dopo le ondate migratorie del 2015. Tra questi anche l’Austria.

Queste misure, in genere, sono durate sei mesi e poi sono cessate. Non però in Austria, provata dallo choc del 2015: negli ultimi mesi di quell’anno il Paese era stato attraversato da 900.000 profughi provenienti per lo più dalla Siria e dall’Afghanistan, di cui 88.340 si erano fermati chiedendo asilo, mentre gli altri avevano proseguito il viaggio verso la Germania e il Nord Europa. Da allora l’Austria le ha mantenute in vigore ininterrottamente, prorogandole di sei mesi in sei mesi. Naturalmente non a tutte le frontiere. Non a quelle con l’Italia, per esempio. Le ha mantenute con la Slovenia e con l’Ungheria, ritenendo che questi due Stati più di altri fossero attraversati dalle rotte seguite dai migranti nei Balcani per raggiungere il cuore dell’Europa.

In effetti è così o è stato così fino allo scorso anno. Nel 2022 sono entrati in Austria da quelle porte 108.781 migranti, che hanno chiesto asilo. Più di quelli sbarcati in Italia, che sono stati circa 105.000.

Quest’anno il flusso si è molto ridimensionato: in febbraio, per esempio, gli ingressi sono stati 2.600, contro i 12.000 di tre mesi prima. Ciò è dipeso soprattutto dall’accordo raggiunto con la Serbia, che a fine anno si è impegnata a un più rigoroso controllo nei transiti di afghani, tunisini e indiani, accolti senza visti in quel Paese, perché affamato di manodopera. Fino ad allora questi stranieri arrivavano legalmente in Serbia per lavorare, ma poi – come scrivevano il 29 dicembre in questo blog – sentivano “l’attrazione fatale dei Paesi europei più occidentali, con un migliore tenore di vita”.

Ora quel flusso si è enormemente ridotto, ma il ministro Karner, con un salto logico che non ha spiegazioni, ha scambiato la causa con l’effetto, sostenendo che il calo degli arrivi sarebbe dipeso non dal ruolo della Serbia, bensì dai controlli di polizia alle frontiere. Da ciò la necessità di prorogarli, perché l’Austria – ha dichiarato – deve reagire “per tempo” e premunirsi, “perché dobbiamo in qualsiasi modo evitare che si ripeta la situazione che abbiamo avuto nell’ultimo anno”. In altre parole, Karner vorrebbe “premunirsi” prorogando quei controlli di polizia che nell’anno passato non erano serviti a nulla?

Non è questa la sola dichiarazione priva di logica del ministro degli Interni. Karner ha anche giustificato la necessità di accantonare per altri sei mesi Schengen con la pressione migratoria significativamente cresciuta in Slovenia e in Italia (32.321 sbarchi nel nostro Paese, dall’inizio dell’anno, il quadruplo di quelli del 2022 nello stesso periodo). Ma non ha deciso di introdurre controlli alle frontiere di Tarvisio e del Brennero. Forse è solo questione di tempo.

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