“Siamo stanche, siamo esauste, siamo arrabbiate e siamo tristi”. Inizia con queste parole un post che Eva-Maria Burger, infermiera d’ospedale a Vienna, ha pubblicato nella sua pagina Facebook. Più che un semplice post, il suo è un grido di dolore e un appello al buon senso, in uno dei momenti più drammatici dell’Austria e dell’Europa dopo la guerra. Eva-Maria lavora nei reparti dove arrivano gli ammalati di Covid, quelli più gravi. Assiste alle loro sofferenze e spesso alla loro morte. Un’esperienza che lascia il segno nel fisico e nell’animo. Balza agli occhi il confronto tra la foto del suo profilo Facebook pubblicata in giorni migliori, dove appare con il sorriso, e quella postata ieri, in cui invece ha il viso stravolto, segnato dalla mascherina indossata fino a poco prima, gli occhi impietriti, i radi capelli arruffati.
In un certo qual modo la sua immagine ci ricorda quella dell’infermiera di Cremona, che nell’aprile scorso, colta dallo sfinimento, si era addormentata chinando il capo sulla tastiera di un computer. La situazione attuale di Vienna non è dissimile da quella nostra di allora. “Ciò che nessuno immaginava – scrive Eva-Maria – è diventata realtà. Gli ospedali sono pieni. Le terapie intensive e i reparti normali sono pieni di pazienti, tutti affetti della stessa malattia. Una situazione del genere nessuno di noi l’aveva sperimentata in vita sua. Noi combattiamo e combattiamo per ogni vita, ma sembra in qualche modo vano. 80-100 morti ogni giorno. I crematori non riescono più a far fronte al loro lavoro”.
Eva-Maria Burger in marzo aveva visto al telegiornale le immagini che arrivavano dall’Italia. Aveva visto i camion militari con le bare che lasciavano di notte l’ospedale di Bergamo e ne era stata profondamente colpita. “Le immagini che avevamo ricevuto dall’Italia in primavera – scrive nel suo post – sono diventate ora realtà da noi. E quando sento discutere che presto saranno allentate le misure restrittive provo nausea e mi sembra di essere sfottuta. In questo modo la terza ondata e il terzo lockdown sono già programmati in gennaio/febbraio. Sono curiosa di vedere quante infermiere ci saranno ancora qui. E sono curiosa di sapere chi si farà carico dei nostri incubi e si farà perdonare la nostra sofferenza”.
Il “bollettino di guerra” di ieri segnala un leggero calo delle nuove infezioni: 4.954 (per la prima volta dopo due giorni sotto quota 5.000). Sempre alto invece il numero dei decessi: 113. Confortante invece l’indice di trasmissione, che è sceso sotto l’1.
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Non si placa in Austria il dibattito sull’apertura delle stazioni sciistiche prima di Natale. Insistono perché ciò avvenga gli operatori turistici (ma non tutti) e la componente dell’Övp (Partito popolare) nel governo. Ma non tutta l’Övp: Othmar Karas, per esempio, che è il capogruppo dei popolari austriaci all’Europarlamento (eletto con il maggior numero di preferenze), è per un accordo tra tutti i Paesi sulla chiusura. Per rinunciare quest’anno alla stagione invernale sono l’assessore alla Salute di Vienna, Peter Hacker (Spö) e – udite! udite! – Peter Schröcksnadel, presidente della Federazione sci austriaca e proprietario degli impianti di risalita di Lackenhof am Ötscher, in Bassa Austria. Non sono d’accordo sull’allentamento prematuro del lockdown molti giornali, tra cui il “Kurier”, che ieri ha dedicato all’argomento un articolo di fondo dal titolo “Il miracolo di Natale non arriva”.
I lettori di questo blog sono divisi tra chi è favorevole all’apertura, perché “non si può salvarsi dal Covid per poi morire di fame”, e chi invece ritiene che “l’Austria ha già perso la faccia con lo scandalo di Ischgl e non può permettersi un altro scandalo del genere e perderla definitivamente”.
A un lettore che in un messaggio di posta ci rimproverava di non tenere sufficientemente conto dell’importanza del turismo invernale per le aziende, per i lavoratori, per l’economia dell’Austria e in particolare delle regioni alpine, abbiamo espresso il nostro parere, che riportiamo qui di seguito.
“Non si tratta di ignorare le sacrosante esigenze di chi vive del turismo invernale, ma di stare con i piedi per terra. Perché Ischgl è diventato uno scandalo internazionale? Perché quando sono stati accertati alcuni contagi, anziché chiudere subito la stazione, sono state lasciate passare due settimane e così il virus ha contagiato migliaia di persone (alcune sono morte) in mezza Europa”.
“Ora immaginiamo, com’è probabile che sarà, che i poli sciistici austriaci aprano il 17 dicembre. E immaginiamo, com’è probabile, che in un paio di questi poli (non in tutti) si registrino casi di Covid-19 (ci sono i turisti ospiti, ci sono gli operatori del posto, ci sono migliaia di lavoratori richiamati dall’Est Europa che potrebbero aver portato il contagio). Cosa faranno gli austriaci in tal caso? Fingeranno che il virus non ci sia, come hanno fatto a Ischgl, lasceranno che i contagi si diffondano e rovineranno così definitivamente l’immagine turistica dell’Austria? O chiuderanno immediatamente la stazione colpita, come avrebbero dovuto fare e non hanno fatto a Ischgl?”.
“È facile rendersi conto di quale sarebbe il danno: esodo precipitoso degli ospiti, interruzione dei rapporti di lavoro con il personale, scorte di alimenti, bevande, gasolio per riscaldamento diventate improvvisamente inutili e da smaltire, disdetta di prenotazioni, rimborso di spese ecc. Una catastrofe o, per dirla in tedesco che suona meglio: “Eine Katastrophe” (con l’accento sulla o)”.
“Certo, si può scommettere che in nessuno dei poli turistici si verifichino contagi. Ma più che una scommessa potremmo definirlo un azzardo. Meglio allora continuare come si è fatto finora: tutte le aziende che hanno sospeso l’attività (alberghi, negozi, bar, impianti di risalita ecc.) hanno ricevuto un ristoro pari all’80% del reddito dello scorso anno. Con questo aiuto statale potranno superare l’inverno senza troppe ferite. I tanti alberghi che hanno fatto fin dall’inizio questa scelta (a cui possiamo aggiungere i proprietari di impianti di almeno due stazioni sciistiche) hanno ragionato così”.
NELLA FOTO, l’infermiera di Vienna, Eva-Maria Burger, come si è presentata ieri nella sua pagina di Facebook.
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