Domenica 19 Maggio 2024

21.07.08 Orf, Sehnsucht nach Grado, DokufilmLa pubblicità televisiva costa molto, soprattutto quella sulle reti nazionali. Per questo gli spot durano pochi minuti, se non addirittura pochi secondi. Lo spot che l’Orf ha dedicato a Grado è durato quasi un’ora e non è costato nulla. Perché in realtà non era uno spazio pubblicitario, bensì un documentario che la televisione austriaca aveva voluto dedicare all’Isola d’oro, una delle “destinazioni” predilette dal suo pubblico. È andato in onda in seconda serata, subito dopo Zib2, il telegiornale più seguito in Austria. L’effetto trascinamento deve aver indotto migliaia di telespettatori a lasciare la tv accesa, perché le immagini di quella spiaggia dell’Alto Adriatico placava la loro “Sehnsucht nach Meer”, la loro “nostalgia del mare”.

Interpretando questo sentimento, che accomuna molti austriaci, il programma era intitolato “Sehnsucht nach Grado”, “Nostalgia di Grado” appunto. Perché è qui, in questo villaggio di pescatori diventato un secolo fa anche luogo di villeggiatura, che “generazioni di bambini austriaci hanno visto per la prima volta il mare. E per molti di essi Grado è stato e resta il primo amore dell’estate”.

Le parole che abbiamo messo tra virgolette sono quelle con cui il regista Thomas Macho apre il suo documentario, facendole seguire dai versi di una canzone in voga in Austria negli anni ’60 e che, tradotti in italiano, direbbero: “Vieni con me in Italia, vieni con me sul mare blu, facciamo come se la vita fosse un bel viaggio. Vieni con me, ne vale la pena, perché di giorno splende il sole e all’imbrunire spunta la luna”.

Ma Grado davvero ne vale la pena? È la domanda che percorre tutto il film dall’inizio alla fine e a cui il regista cerca di rispondere con le voci di alcuni austriaci che vi sono giunti da bambini o da adulti e che ne sono rimasti stregati. O con le immagini dell’Isola d’oro che conosciamo – la città, il porto, la spiaggia, la laguna – e altre che ci sono meno note, come i vicoli di Grado vecchia, le isole della laguna, i casoni immersi nelle brume invernali.

Uno dei primi testimonial è Xaver Schwarzenberger, regista cinematografico di Vienna (gli italiani forse lo conoscono per la miniserie televisiva sull’imperatrice Sissi, del 2010, interpretata dall’italiana Cristiana Capotondi). Ha scoperto Grado casualmente, dovendovi girare alcune scene di un suo film. È stato amore a prima vista, che lo ha indotto a prendervi “Domizil” e a girarvi un altro film e poi un altro ancora. Appena può, torna a Grado con la moglie Ulli.

È Schwarzenberger che accompagna lo spettatore per la città vecchia e nella laguna, facendogli conoscere le isole e i casoni. Anche l’isola di Portobuso, che un tempo era situata al confine tra Italia e Austria, e quella in cui Pier Paolo Pasolini, negli anni ’60, girò una parte del film Medea, con Maria Callas. Ora su quell’isola c’è un piccolo museo che lo ricorda. Schwarzenberger spiega al pubblico austriaco che Pasolini aveva in mente di organizzare un festival da contrapporre a quello di Venezia, “ma non vi riuscì, perché Venezia era più forte, benché Grado fosse la madre di Venezia”.

Poi la parola passa ad Andreas Nödl, autore del libro “Grado, la spiaggia della Mitteleuropa”, che conserva i suoi ricordi di bambino e degli interminabili viaggi da Vienna al mare, quando non c’era ancora l’autostrada e l’unica via da percorrere era la tortuosa e a quel tempo angusta strada statale, che scendeva lungo il Canal del Ferro. Da quarant’anni Nödl e la moglie sono ospiti fissi dell’Isola d’oro, sempre nello stesso hotel, “dove si conoscono tutti e si fanno allegre tavolate all’aperto per il pranzo e per la cena”. Spiega Nödl: “Per noi bambini la spiaggia era un Eldorado. Qui si facevano le amicizie ed è questa probabilmente la ragione per cui qui si ritorna tutta la vita. E quando si è a casa si attende tutto un anno per poter far di nuovo ritorno. Perché sei stato contagiato per sempre dal virus di Grado”.

La canzone che accompagna le parole di Andreas Nödl è in tedesco. Solo il primo verso è in italiano: “Bella, bella donna! Bella bella mia!” Suggeriscono l’impressione che non un virus, ma una passione amorosa abbia contagiato lo scrittore austriaco.

Com’era accaduto ai primi villeggianti all’inizio del secolo scorso, tutti appartenenti all’aristocrazia e all’alta borghesia viennese. Gli anni d’oro erano stati quelli tra il 1906 e il 1912, che avevano visto il fiorire di ville e alberghi, come ad Abbazia, a Portorose, sull’isola di Brioni. Di quelle architetture rimane ben poco. La testimonianza più importante di quell’epoca sono ancor oggi le cinque Ville Bianchi, costruite tra il 1900 e il 1901 dal barone Leonardo Bianchi (il nome non inganni: la famiglia appartiene da secoli all’aristocrazia viennese e parla tedesco, pur essendo vissuta a lungo a Gorizia).

Il documentario fa parlare Federico Bianchi, uno degli ultimi eredi di quell’epoca, che però non è più proprietario delle ville e vive tra Vienna, Maiorca e Venezia. A Grado ci torna soltanto per farsi tagliare i capelli dal parrucchiere Cesare. Il barone rievoca l’avventura del nonno, venuto a Grado per la prima volta nel 1900, che allora era davvero un’isola scollegata dalla terraferma, senza elettricità, senza acqua potabile (che doveva essere portata con cisterne). Eppure anche il vecchio Leonardo (o Leonhard) ne rimase incantato e decise che proprio lì, in quel nulla, avrebbe costruito il suo hotel. Un anno dopo l’impresa era realizzata: non un hotel, ma le cinque ville. Il turismo gradese mosse i primi passi proprio da quelle ville, che ebbero un successo straordinario e imprevedibile, richiamando l’aristocrazia da tutto l’impero. Gli ospiti soggiornavano per mesi e si facevano accompagnare dalla propria servitù. Ogni sera, sulla terrazza, suonava un’orchestra.

Dalle Ville Bianchi l’obiettivo si sposta alla foce dell’Isonzo, a Punta Sdobba, a Belvedere, un tempo terminal della ferrovia che partiva da Cervignano e che oggi è diventata pista ciclabile. Poi viene Aquileia, con l’intervista a Theodor Mautner Markhof, pronipote del conte Antonio Cassis Faraone, che nella seconda metà dell’800 realizzò i primi scavi, portando alla luce reperti romani ora conservati nel museo della cittadina, che un tempo era stata la residenza della famiglia. Dalla testimonianza del discendente e dalla voce narrante fuori campo pare quasi che le scoperte archeologiche di Aquileia si fossero fermate a quell’epoca e che in mezzo non ci sia stato anche un certo Giovanni Battista Brusin, cui va il merito di aver portato alla luce il porto e il foro, che oggi rappresentano i fiori all’occhiello del parco archeologico aquileiese, come noi lo conosciamo.

Altre immagini, altre voci. Quella di Christine Casapiccola, scrittrice, che ha raccontato com’era la “riviera austriaca” e come è avvenuto lo sviluppo turistico di Grado. Ha raccontato in particolare il ruolo avuto da Emma Auchentaller, figlia di un fabbricante di scarpe di Vienna, trasferitasi a Grado con il marito Josef, pittore della Secession viennese. Emma ha lo spirito imprenditoriale del padre e a Grado compra l’ex forte napoleonico. Sulle sue fondamenta costruisce una pensione vista mare, cui dà nome “Il Fortino”. È subito un grande successo.

Per il marito il trasferimento a Grado segna invece la fine della carriera artistica. Continua a dipingere ed è molto prolifico, ma a Vienna si dimenticano di lui (solo di recente gli è stata dedicata una mostra). Per Grado, però, il suo pennello è importante. È suo il primo manifesto pubblicitario della spiaggia, che lui realizza “pro bono” (gratis). E ne farà molti altri.

Nelle ultime immagini il documentario dà voce all’attore e scrittore Michael Dangl, anche lui innamorato di Grado, ma soprattutto della Grado invernale. “Grado – dice Dangl – è il punto più occidentale di una costiera della poesia, che conduce fino a Miramare e a Trieste o nella nebbia magica di Duino. La poesia non cesserà tra poche settimane con l’arrivo tumultuoso dei turisti. Vivrà nel volto del pescatore che ha preparato per te la sua preda. Vivrà nel tramonto, nel cielo stellato, nel verde della laguna. Dovunque tu sia pronto a trovarla.”

Vivrà, perché – come diceva quella canzone all’inizio – “di giorno splende il sole e all’imbrunire spunta la luna”. E perciò vale la pena venirci.

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Il documentario può essere rivisto nella tvthek dell’Orf fino a sabato.

NELLA FOTO, l’immagine di apertura del documentario.

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