Sabato 14 Dicembre 2024

20.05.29 Ischgl-Tirol, apres-ski Kitzloch - CopiaSi sta facendo un po’ alla volta luce sul focolaio di Coronavirus esploso a Ischgl tra febbraio e marzo e ciò che si scopre non è molto edificante. Qui non si tratta di indagare su chi abbia contagiato chi. Non si tratta di identificare qualcuno a cui dare la colpa, anche se in un primo momento il cancelliere Sebastian Kurz aveva chiamato in causa ipotetici “untori” giunti da Monaco. Qualcuno a Ischgl e nella Paznauntal il virus lo ha portato e di certo non lo ha fatto di proposito. È accaduto allo stesso modo a Wuhan, a Codogno e in tante altre parti del mondo.

Ciò che fa la differenza a Ischgl è che qui un bel giorno si è saputo con certezza che il virus c’era e si stava diffondendo a macchia d’olio tra le migliaia di ospiti in vacanza, soprattutto tra i frequentatori serali degli après-ski, e per una settimana non si è fatto nulla per fermare la giostra. Troppi interessi, troppe connivenze tra politica e industria del divertimento, troppa superficialità e/o incompetenza e il virus così ha potuto contagiare allegramente migliaia di persone di decine di Paesi europei ed extraeuropei, causando anche una quarantina di decessi.

Segniamoci due date: quella del 6 marzo e quella del 13 marzo. Sono due venerdì e tra il primo e il secondo passa una settimana. Il Coronavirus aveva già colpito a Ischgl e dintorni da un po’, ma forse era stato scambiato per un’influenza di stagione. Dal 6 marzo, però, le autorità del Land sanno con certezza che si tratta del virus giunto dalla Cina. Sanno perfino dove sono avvenuti i maggiori contagi. Conoscono nomi e cognomi delle persone contagiate e quelli dei bar e delle discoteche frequentati. Eppure non si fa nulla fino al 13 marzo, sette giorni dopo, quando il governo di Vienna dichiara Ischgl, l’intera Pauznantal e il vicino polo sciistico di St. Anton am Arlberg “zona rossa”.

I termini della questione stanno tutti in questo ingiustificabile ritardo. Per evitare che ciò accadesse, l’Unione Europea fin dal 2013 aveva creato un meccanismo di allarme immediato in caso di malattie contagiose che, per definizione, non rispettano i confini nazionali (a proposito, per quanti vanno dicendo che l’Ue serve soltanto all’alta finanza e alle multinazionali sarà una sorpresa scoprire che invece si occupa anche della tutela delle nostre vite). Si chiama Ewrs (Early warning and response system).

Grazie a questo strumento l’Austria aveva appreso quasi in tempo reale di come l’epidemia da Coronavirus dalla valle di Ischgl si fosse estesa nel resto del mondo. Fra il 3 marzo e il 14 marzo al ministero austriaco della Salute di Vienna, tramite l’Ewrs, erano arrivate 21 segnalazioni di contagi dal Belgio, dalla Germania, dalla Danimarca, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dall’Islanda, dalla Norvegia, dai Paesi Bassi, con indicazioni dettagliate dei casi di Covid-19 e di persone con cui i contagiati erano entrate in contatto.

Il primo Paese a lanciare l’allarme era stato l’Islanda, che tra il 5 e il 6 marzo aveva accertato numerosi casi di Coronavirus in persone reduci da una vacanza in Tirolo. Segnalazioni analoghe erano pervenuto l’8 marzo dalla Danimarca e il 9 marzo dalla Norvegia.

Alle prime mail di denuncia seguono altre, più dettagliate. Così, per esempio, l’11 marzo le autorità sanitarie danesi comunicano all’Austria che i contagiati di ritorno da Ischgl sono 82 e che 21 di questi avevano frequentato il bar “Kitzloch”, considerato il principale focolaio di infezione del polo sciistico (11 persone contagiate tra il personale dipendente). Nella stessa giornata la Danimarca trasmette nomi e indirizzi degli hotel in cui i contagiati avevano soggiornato e perfino nomi di bar e ristoranti frequentati, per dar modo alle autorità austriache di prendere immediatamente le contromisure necessarie.

A questo punto i turisti stranieri di Ischgl risultati positivi al test sono sparsi in 25 nazioni, ma in Tirolo non si fa nulla. La “zona rossa” viene dichiarata solo il 13 marzo. Da quel giorno non si può più entrare, né uscire da Ischgl, ma gli impianti di risalita continuano a girare ancora per due giorni, fino a domenica. L’Ewrs ha funzionato magnificamente, ma a vuoto, perché l’Austria non ne ha tenuto conto.

L’Austria o il Land Tirolo? Le segnalazioni inviate dai vari Paesi europei arrivavano ovviamente a Vienna. Il Tirolo sostiene di non esserne stato informato, ma il ministro della Salute, Rudolf Anschober, respinge le accuse al mittente: tutte le mail inviate da mezza Europa erano state subito ritrasmesse a Innsbruck. Un giorno, forse, sapremo chi dice la verità e chi mente.

 

NELLA FOTO, grande baldoria alla sera negli après-ski di Ischgl. È in locali come questo, dove si facevano le ore piccole, che i contagi sono stati maggiori.

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