Mercoledì 4 Dicembre 2024

Anche chi non risiede in Austria, ma vi fa visita di tanto in tanto, conosce il marchio Kika/Leiner. Contraddistingue una catena di grandi negozi di arredamento presenti in tutte le principali città del Paese e anche nel Centro e nell’Est Europa. Fino a oggi i punti vendita in Austria erano 40, cui si devono aggiungere altri in Ungheria, Cechia, Slovacchia, Croazia e Romania. Una storia di successo commerciale, cominciata nel 1973, che dopo anni di dirompente espansione è stata piegata dalla crisi e oggi, proprio oggi, giunge al capolinea.

Questa sera, infatti, 23 delle 40 filiali austriache abbasseranno le serrande per non rialzarle mai più. Rimarranno in attività 17 sedi, ma anche per queste il futuro è incerto. Il gruppo, infatti, in crisi da qualche anno, è sottoposto a una procedura concorsuale, che tenta di contemperare il diritto dei creditori ad avere soddisfazione dei loro crediti con l’esigenza di tenere in piedi, finché è possibile, un’azienda di grandi dimensioni.

Fino all’apertura della procedura concorsuale Kika/Leiner aveva 3.900 dipendenti; 1500 di questi sono già stati licenziati o lo saranno da questa sera, dopo la chiusura delle 23 filiali; 200 hanno lasciato spontaneamente l’azienda, quando hanno capito che la barca stava per affondare. Amministratore straordinario speciale del gruppo è stato nominato Volker Leitner. È un avvocato di St. Pölten e la sua scelta si spiega con il fatto che la casa madre di Kika/Leiner si trova in questa città, capoluogo della Bassa Austria. Per comprendere le dimensioni del disastro basterà dire che la base logistica di St. Pölten ha una superficie di 100.000 metri quadrati e che da qui, ai tempi d’oro, partivano ogni mese 41.000 metri cubi di merce destinata alle filiali.

La Kika/Leiner, come abbiamo scritto, ha alle spalle esattamente mezzo secolo di storia, ma sono gli anni più recenti quelli attualmente sotto la lente dell’amministrazione concorsuale e forse anche di quella giudiziaria. Il gruppo porta il nome di Rudolf Leiner, fondatore della catena “Leiner”, cui si aggiunge “Kika”, fondata dal genero Herbert Koch.

Il gruppo resta un’impresa di famiglia fino al 2013, anno in cui viene ceduto alla holding sudafricana Steinhoff per 375 milioni. Le cose non vanno troppo bene e Kika/Leiner è sull’orlo del fallimento, quando nel giugno del 2018 viene “salvata” dalla Signa Holding di René Benko, che l’acquista in blocco. Benko è un nome molto noto in Austria: è un ex giovane immobiliarista tirolese, che in pochi anni, con abili acquisizioni e vendite in Austria, in Germania, ma anche in Italia, è diventato uno dei più ricchi uomini di affari austriaci. Il suo patrimonio era valutato lo scorso anno in 4,9 miliardi dalla rivista Trend.

L’operazione è vista con qualche perplessità, per l’inconsueta rapidità con cui ottiene il visto dall’Autorità garante della concorrenza, ma anche e soprattutto perché il campo d’azione di Benko è quello immobiliare, non quello del commercio. Ma sono perplessità che passano in secondo piano: ciò che importa a tutti – dalla politica al sindacato – è che il gruppo commerciale sia salvo e con il gruppo anche i suoi tanti dipendenti. Il costo per Benko è stimato in 600 milioni: poco meno di 500 milioni per gli immobili, 100 milioni per farsi carico di debiti di pari importo del venditore e 1 euro simbolico per l’acquisto della merce in vendita. Nel frattempo due filiali sono chiuse e 1.100 dipendenti sono mandati a casa.

Ma René Benko, come sappiamo, è uno che compra e vende. Lo fa anche con Kika/Leiner, dopo appena 5 anni. Nel giugno scorso il quotidiano Die Presse annuncia che la Signa Holding ha venduto gli immobili del gruppo alla società immobiliare Supernova di Frank Albert e l’azienda commerciale all’ex direttore Hermann Wieser. Passano due settimane soltanto e Wieser presenta al Tribunale di St. Pölten un’istanza di fallimento, che subito si prefigura come il più disastroso degli ultimi 10 anni.

Insomma, Benko sarebbe riuscito a passare ad altri la patata bollente, prima di scottarsi. A subire le ustioni saranno altri: i lavoratori di Kika/Leiner, che da questa sera si ritroveranno disoccupati, i creditori con i quali sembra si stia concordando un rimborso del 20% dei loro crediti stimati in 132 milioni. Ma ne rimarrà ustionato anche lo Stato, che non potrà più incassare imposte per 32,7 milioni di euro dovute dall’azienda, cui era stato consentito in tempi di pandemia da Coronavirus di rinviarne il pagamento.

Fino all’8 agosto i creditori hanno tempo per farsi avanti e così, dopo quella data, conosceremo con più precisione la dimensione del “buco”.

NELLA FOTO, uno dei centri vendita del gruppo Kika/Leiner, con un cartello che annuncia la vendita con sconti “fino al 77%”. Mai come questa volta la scritta “svendita per chiusura” (“Schluss-Verkauf”) va intesa in senso letterale.

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