Certamente molti lettori ricordano lo scandalo Hypo Bank, la banca carinziana fallita con perdite per circa 11 miliardi poi assunte a proprio carico dallo Stato. Ne avevamo riferito fino all’altro ieri. Ma la storia degli scandali bancari austriaci non comincia con Hypo Bank. Il precedente capitolo risale a qualche anno prima e racconta di un altro scandalo ancora più eclatante, non tanto per le dimensioni del dissesto (si trattò allora di un buco di “soli” 1,4 miliardi), ma per i suoi risvolti politici: ne erano stati protagonisti i vertici di Bawag (la sigla sta pet “banca del lavoro e dell’economia”), ovvero dell’istituto di credito interamente di proprietà dell’Ögb, il sindacato austriaco, a suo volta dominio riservato dell’Spö, il Partito socialdemocratico. In altre parole, Bawag era di fatto proprietà socialdemocratica e socialdemocratici erano tutti i suoi dirigenti.
Allo scoppio dello scandalo, nel 2006, il clamore fu enorme e se ne sarebbe parlato a lungo, se due o tre anni dopo non fosse emerso quasi per un colpo di fortuna il dissesto di Hypo Bank, che fece passare in secondo piano e presto dimenticare la vicenda Bawag.
Se ne torna a parlare ora, perché ieri ha avuto inizio un processo (non è il primo) nei confronti di alcuni ex dirigenti dell’istituto accusati di truffa aggravata e malversazione per un episodio connesso con la vicenda di 14 anni fa. Un episodio marginale, se così vogliamo, ma che comunque aveva aggiunto una perdita di altri 350 milioni alle perdite già subite in operazioni precedenti. Che ci siano voluti 14 anni per approdare al processo dibattimentale i cronisti giudiziari lo spiegano con il fatto che “in Austria i mulini della giustizia macinano più lentamente”. In realtà, a parziale giustificazione del ritardo, si deve tener conto da un lato della complessità della materia finanziaria, dall’altro del fatto che il “disegno criminoso” fu commesso in gran parte negli Stati Uniti, per cui gli inquirenti hanno dovuto acquisire molti atti oltre Atlantico, con dilatazione dei tempi.
Al centro di questa appendice giudiziaria, infatti, è la Refco, società di brokeraggio di New York, al cui capitale partecipava anche Bawag con il 10%. Non navigava in buone acque, ma i dirigenti oggi sul banco degli imputati contribuirono a mascherarne il dissesto di bilancio, per agevolarne la vendita alla società di investimenti “Thomas H. Lee Partners”.
L’imbroglio non riuscì, perché Refco fallì prima. Ciononostante, ignari del fallimento, i vertici di Bawag autorizzarono allegramente un credito di 350 milioni in favore di un istituto che era già morto, senza prima verificare che la società fosse ancora operativa e senza disporre di alcuna garanzia di rientro. Fu proprio la perdita di quei 350 milioni, che si aggiungeva alle perdite miliardarie precedenti, a indurre il sindacato a far piena luce sui conti del suo istituto. Il compito fu affidato a un professore della Wirtschaftsuniversität, la prestigiosa “Bocconi” di Vienna, Ewald Nowotny, che ebbe bisogno di alcuni mesi per riordinare le carte e denunciare il malaffare. Nowotny diventerà poi governatore della Banca nazionale austriaca, carica che ha ricoperto fino a pochi giorni fa.
Nel processo che ha avuto inizio ieri gli imputati sono quattro, uno dei quali, Johann Zwettler (il direttore generale di Bawag che nel 2006 autorizzò il bonifico di 350 milioni), ha 78 anni ed è stato dichiarato “non in grado di comparire in giudizio”. In un precedente processo era stato condannato a 6 anni di reclusione e già allora gli era stato consentito di evitare il carcere per ragioni di salute. Il processo in corso non si svolge a Vienna, sua sede naturale, ma a Wiener Neustadt, per un problema di legittima suspicione: uno degli imputati è sposato con una procuratrice di Stato viennese.
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Il caso Refco è l’ultimo episodio di una scandalosa vicenda bancaria, ma non è il più grave. Gli altri episodi che lo hanno preceduto sono ben più gravi. Li avevamo raccontati in questo blog l’8 aprile 2015.
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