Carlo d’Asburgo (nella foto) – nipote diretto dell’ultimo imperatore d’Austria, come lui di nome Carlo – non può fregiarsi del titolo nobiliare. Non può chiamarsi e farsi chiamare Carlo d’Asburgo o, in tedesco, Karl von Habsburg, ma semplicemente Carlo Asburgo. Quel “von” è di troppo, perché viola la legge che nel 1919 la neonata Repubblica austriaca si era data e che aveva bandito la nobiltà e tutti i titoli e i segni esteriori che la contraddistinguevano.
Da allora le famiglie dell’aristocrazia austriaca continuano ad esistere, ma evitano di far precedere il “von” al nome del casato. Magari tra di loro e con gli amici si presentano sempre con il titolo di barone, conte, duca, ma sui loro biglietti da visita appare semplicemente il nome e il cognome.
Carlo d’Asburgo aveva voluto infrangere la regola e lo aveva fatto in modo eclatante, proprio nella sua pagina web, il cui indirizzo non a caso è www.karlvonhabsburg.at. Qui il “von” appare ovunque – nella biografia, nell’attività del casato, nelle organizzazioni che lo affiancano, nel conferimento di ordini e titoli nobiliari, sia per esteso, sia nella forma di acronimo “KvH”.
Probabilmente nessun organo di polizia o giudiziario sarebbe mai intervenuto, per contestare la violazione di una legge che dopo cento anni appare ormai polverosa. Ma quella legge è tuttora in vigore e, quando lo scorso anno un anonimo ha denunciato il discendente degli Asburgo per abuso di titolo, l’azione penale è stata inevitabile. Carlo Asburgo è comparso davanti a un Tribunale che lo ha condannato a una pena pecuniaria di 70 euro, convertibile in caso di mancato pagamento in una pena detentiva di 4 ore.
L’imputato non ha pagato i 70 euro e non ha trascorso in carcere nemmeno un’ora, presentando ricorso al Tribunale amministrativo, dove ha sostenuto l’impossibilità di convertire in euro una sanzione che la legge del 1919 indicava in 20.000 corone. Come si fa a cambiare corone in euro, in assenza di una legge che ne definisca le modalità? Il Tribunale amministrativo gli ha dato ragione, annullando la pena pecuniaria, ma ha confermato la condanna (pur priva di sanzione) per abuso di titolo nobiliare.
Contro questa rinnovata condanna il nipote dell’ultimo imperatore ha fatto ricorso alla Corte costituzionale, sostenendo l’illegittimità della legge del 1919, in quanto lo avrebbe privato del suo diritto al nome storico della famiglia, creando in tal modo una disparità di trattamento nei confronti degli altri cittadini, che invece quel diritto ce l’hanno.
Ora anche la suprema Corte si è pronunciata, dandogli torto. Il principio di uguaglianza di tutti i cittadini non sarebbe violato, non soltanto perché la legge del 1919 è di rango costituzionale, ma perché proprio tale legge garantirebbe l’uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzioni tra chi è nobile e può fregiarsi di un “von” e chi non lo è.
Essendo la Corte costituzionale l’organo giurisdizionale supremo, dopo il suo pronunciamento il caso dovrebbe considerarsi chiuso. Ma probabilmente così non sarà. Carlo Asburgo sembra intenzionato a continuare a farsi chiamare “d’Asburgo”, come si evince anche dal sito web, che per ora non ha subito alcuna modifica. Dobbiamo attenderci, quindi, nuovi sviluppi e, probabilmente, nuovi capitoli giudiziari.
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