Sabato 18 Maggio 2024

02.01.01 Vienna, Romano Prodi e Wolfgang Schüssel con le prime banconote in euroLa foto ha la data del 1. gennaio 2002. Mostra Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea, insieme con il cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel. Sono sorridenti e sventolano le prime banconote in euro appena prelevate – è passata da poco la mezzanotte – da un bancomat. “Sono certo che l’euro rafforzerà l’economia dell’Europa – dichiara Prodi – e contribuirà molto allo sviluppo di una identità europea”.

 

Dieci anni dopo non propriamente l’euro, ma l’eurozona si trova ad attraversare una delle crisi più complicate della sua storia e nessuno ha molta voglia di festeggiarne il decennale – qui si usa la parola “Jubiläum” – cui quella foto rimanda. Vien da chiedersi come mai allora Prodi, tra i 10 Paesi dell’eurozona (più tardi si sarebbero aggiunti anche Slovenia, Cipro, Malta e Slovacchia), scelse proprio l’Austria per festeggiare. La domanda resta senza risposta, ma quella foto può costituire oggi il pretesto per indagare sull’atteggiamento con cui l’Austria sta vivendo questo momento drammatico della moneta unica.

 

Non c’è, naturalmente, alcuna ragione per stare allegri. L’Austria è tra i Paesi dell’eurozona che, come la Germania, ha i conti in regola, ma si è resa conto che le turbolenze della finanza globale non minacciano soltanto la Grecia e gli altri Paesi-cicala mediterranei. Con stupore ha scoperto che le agenzie di rating hanno messo in discussione anche la sua tripla A, perché, anche se il suo deficit di bilancio è contenuto e il suo rapporto debito/Pil la metà di quello italiano, vende i suoi prodotti in Italia (secondo mercato di esportazione), ha prestato soldi in Grecia, nei Balcani e nel Centro Europa, col rischio di non vederseli più restituire, una delle sue principali banche (Bank Austria) è interamente di proprietà di Unicredit, le cui difficoltà ci sono ben note. Insomma, si trova sulla stessa barca degli altri. Se affondano quelli, affonda anche lei.

 

Conviene dunque remare. Lo ha capito anche il cancelliere Werner Faymann, che fino a ieri aveva semplicemente ignorato l’esistenza dell’Ue, assomigliando molto a qualche politico di casa nostra. Quando Faymann partecipava a un vertice a Bruxelles usava dire che “andava in Europa” (“nach Europa”, moto a luogo), come se non si trovasse già in Europa.

 

Ora che l’equivoco è stato chiarito, gli austriaci si chiedono se fosse valsa la pena di intraprendere una navigazione con compagni di viaggio così poco affidabili. Insomma, avevano ragione di sorridere Schüssel e Prodi in quella foto di 10 anni fa o l’introduzione dell’euro fu un errore? Le risposte sono divergenti. La stampa popolare (Kronen Zeitung) e i partiti della destra populista danno un giudizio negativo. “I contribuenti austriaci – è una delle frasi ricorrenti – non devono pagare i debiti dei greci, che hanno imbrogliato i conti”.

 

Il giudizio negativo è condiviso anche da un numero crescente di austriaci. Secondo uno studio della Società austriaca per la politica europea, la fiducia degli austriaci nell’euro è crollata dal 61% del maggio 2010 al 47% dell’estate scorsa. E oggi sarà probabilmente ancora più bassa.

 

Al contrario, la stampa non populista, tutte le organizzazioni economiche (dalla Camera del lavoro, che tutela operai e impiegati, alla Camera dell’economia, rappresentativa del mondo imprenditoriale), gli economisti, gli istituti di ricerca economica e finanziaria sono concordi nell’esprimere invece un giudizio positivo sulla moneta unica. Proprio l’Austria, come piccolo Paese orientato all’export, ha beneficiato più di altri dell’euro. Grazie a ciò il Pil è potuto crescere annualmente del 2%, vale a dire di mezzo punto percentuale più della media europea.

 

Secondo gli esperti, anche il numero degli occupati, dopo l’introduzione dell’euro, è potuto crescere di 20.000 unità all’anno (fenomeno, peraltro, dovuto non solo alla moneta, ma anche allo spazio economico europeo senza più confini). Grazie all’euro, si stima che le esportazioni di merci e servizi siano potute crescere dal 40 al 60 per cento. E gli investimenti di imprese straniere (comprese quelle italiane) si sono in questi 10 anni triplicati.

 

Che c’entra l’euro con le esportazioni? C’entra eccome! Prima l’export dall’Austria aveva sempre dovuto fare i conti con le svalutazioni ricorrenti della lira e delle valute di altri Paesi deboli del Sud Europa, che rendevano i loro prodotti più competitivi. L’introduzione della moneta unica ha spazzato via d’un colpo questo fattore distorsivo della concorrenza. In questo modo per l’Austria è stato possibile esportare più generi alimentari, più prodotti industriali, più legno e più carta in Italia, Spagna o Francia. L’euro è stato vantaggioso non soltanto sul piano delle svalutazioni, che non sono più esistite, ma anche per l’eliminazione dei costi di assicurazione sulle merci esportate e le spese di cambio.

 

Un altro aspetto macroeconomico che viene evidenziato riguarda il tasso di inflazione, che in Austria è stato sempre inferiore a quello italiano, ma che nel decennio precedente all’euro era stato mediamente del 2,2%, per scendere, dopo l’introduzione della moneta unica, all’1,8%, fino a scendere lo scorso anno allo 0,5%, un livello che non si vedeva dal 1953. Certo, nell’ultimo trimestre è risalito rapidamente, ma per il rincaro delle fonti energetiche, non a causa dell’euro. E sarebbe risalito di più se gas e petrolio fossero stati pagati in scellini.

 

Il disinnamoramento nei confronti dell’euro, determinato dalla crisi attuale, è diffuso soprattutto nella gente che ha scarsa memoria, che non ricorda più come si viveva in Austria ai tempi dello scellino e dà per scontati i vantaggi dell’unione monetaria, della creazione di posti di lavoro, della concorrenza, dell’eliminazione dei cambi, come se fossero ovvi, dovuti a chissà quali leggi di natura e non proprio all’euro. Ovvi al punto da ritenere l’euro superfluo, se non addirittura dannoso.

 

Se prevalesse questa opinione e l’Austria decidesse di abbandonare la moneta unica, i costi economici, calcolati dalla banca svizzera Ubs, varierebbero tra i 9500 e gli 11.500 euro per abitante nel primo anno, e tra i 3000 e i 4000 negli anni successivi. Per non parlare dei costi politici, sociali, umani.

 

[Articolo già pubblicato nel mensile “Realtà industriale”]

 

Nella foto, il presidente della Commissione europea Romano Prodi e il cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel fotografati la mattina del 1. gennaio 2002 con le prime banconote in euro prelevate da un bancomat di Vienna.

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