Sabato 18 Maggio 2024

Budget Planning Concept,accountant Is Calculating Company's AnnuL’Italia è tra i Paesi industrializzati in cui si pagano più tasse. Non in termini assoluti, ma in rapporto alla popolazione. Secondo i dati più recenti comunicati dall’Ocse, il 41,2% del reddito degli italiani è destinato al fisco. Peggio dell’Italia – in termini di prelievo fiscale – stanno la Francia (46,1%), il Belgio e alcuni Stati del Nord Europa, a cui quest’anno si è aggiunta anche l’Austria.

Fino al 2018 il carico fiscale in Austria era di poco inferiore a quello italiano. Ora, con il 42,2% lo supera, collocandosi al sesto posto tra i Paesi industrializzati. Non era questo l’obiettivo del governo di centro-destra franato nel maggio scorso, dopo aver chiuso per la prima volta un bilancio in pareggio. Il cancelliere di allora (e sicuramente anche il prossimo) Sebastian Kurz si riproponeva di abbassare le tasse e, anzi, questo era uno dei suoi propositi più importanti, accanto a quello di porre un freno all’immigrazione. Il traguardo finale a medio termine doveva essere un carico fiscale del 40,0%.

Le cose invece sono andate diversamente. L’immigrazione è quasi cessata (per ragioni endogene, non per merito del governo), ma il peso di imposte, tasse e altri tributi locali e nazionali è cresciuto di 0,4 punti percentuali, superando quello dell’Italia. Ciò è dipeso dal fatto che la riforma fiscale introdotta dal governo Kurz è stata attuata solo in parte, prima della crisi politica che ha portato alle elezioni anticipate. Nello stesso tempo si è registrato un aumento del prodotto interno lordo, che ha comportato un insperato e inatteso aumento del gettito fiscale.

La pressione fiscale è spesso stata indicata da noi come un fattore determinante per gli investimenti (o i mancati investimenti). Si è parlato a vanvera, per esempio, di una presunta fuga di aziende verso l’Austria, richiamate da un sistema fiscale più favorevole. Non era e non è così. Non lo era prima, quando la tassazione era inferire (le aziende italiane che hanno delocalizzato – quelle vere, non quelle esistenti soltanto sulla carta – si contano sulle dita delle mani), e non lo sarà ora che la tassazione supera quella dell’Italia.

Gli stessi economisti austriaci raccomandano di evitare l’errore di ritenere che un alto carico fiscale renda un territorio meno attraente per gli investimenti. Che in alcuni Stati, come gli Usa, l’Irlanda, il Cile, il Messico si paghino poche tasse non ha nulla a che fare con l’efficienza del sistema, ma dipende da una scelta politica. Si pagano più tasse dove lo Stato è più presente nei servizi sociali, assistenziali, sanitari, previdenziali ecc. Non è un caso che i Paesi scandinavi, che vantano uno stato sociale modello, siano i più tassati.

“Le quote fiscali – ha dichiarato l’economista Mario Holzner, dell’Istituto per la comparazione economica internazionale di Vienna – di per sé non dicono nulla. Agli introiti di uno Stato corrispondono prestazioni che lo Stato eroga”. E Benjamin Bittschi, economista dell’Istituto di studi superiori, aggiunge: “Il prelievo fiscale mostra quale peso ha lo Stato in un Paese. Ma l’inefficienza di uno Stato si misura con altri indicatori. Per esempio, gli investimenti diretti stranieri e gli indici della corruzione”.

Le speranze che investitori stranieri scelgano l’Italia non dipende dunque dal carico fiscale, o non soltanto da questo, ma da altri fattori. “L’Italia – ha scritto recentemente su “Der Standard” Aloysius Widmann – non è considerata affatto un luogo paradisiaco per gli imprenditori. Qui è difficile una pianificazione a lungo termine, perché una politica ondivaga produce insicurezza economica. A ciò si aggiunge un’amministrazione inefficiente, che comporta dei costi”. Widmann si ferma qui e non menziona la corruzione, le carenze infrastrutturali, le lungaggini della giustizia. E poi viene anche il carico fiscale, ma non è il primo dei problemi.

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