Sabato 18 Maggio 2024

La Liberazione, che abbiamo celebrato oggi, 25 aprile, appare a molti un bene acquisito per sempre. Per questo alle cerimonie di commemorazione non c’è stata quella partecipazione di popolo che ci saremmo dovuti aspettare. Molti hanno preferito la gita al mare, inconsapevoli di quali sacrifici fosse costata la libertà di cui oggi tutti godiamo e di quanto facilmente potremmo esserne nuovamente privati.

La resistenza del popolo ucraino all’aggressione russa dimostra quanto sia importante la libertà e come per quel bene migliaia di uomini e donne siano disposti a sacrificare tutto, compresa la vita. Ma anche lo sbandamento autoritario in alcuni Paesi europei, che pure fanno parte dell’Ue, ci dimostra quanto fragile sia il bene della libertà, che molti ormai considerano scontato, e come lo si possa perdere facilmente.

Casualmente proprio in questi giorni l’Austria ricorda l’avvento, 90 anni fa, dell’austrofascismo, che significò l’inizio di una dittatura di estrema destra, sul modello italiano di allora, e la fine della libertà. È interessante riparlarne, perché il passaggio dalla prima Repubblica austriaca, nata dalle ceneri dell’impero, al regime autoritario di Engelbert Dolfuss, imitatore del nostro duce, non avvenne in esecuzione di un piano rivoluzionario ben pianificato, ma per una successione di eventi quasi accidentali, che un giorno dopo l’altro portarono allo strangolamento delle libertà democratiche. Nessuno quasi se ne accorse. Nessuno fece alcunché per impedirlo. E quando, alla fine, fu chiaro a tutti che l’Austria era diventata uno Stato fascista era ormai troppo tardi per rimediare.

Siamo nel 1933, proprio 90 anni fa. Il governo del cancelliere Engelbert Dolfuss si regge su una esile maggioranza. Ne fanno parte il Partito cristiano sociale, di cui è leader, e alcuni raggruppamenti minori. All’opposizione il Partito socialdemocratico, maggioritario alle elezioni di tre anni prima, e il Partito grande-tedesco, che si batte per l’annessione alla Germania. Attenzione: i “Grossdeutschen” (grandi-tedeschi) auspicano l’unione dei popoli tedeschi, ma non sono nazisti; proprio nel gennaio 1933 il nazismo andrà al potere in Germania e il movimento nazionalsocialista prenderà fiato nelle elezioni locali anche in Austria.

Il Paese è travagliato dalla crisi economica mondiale, un terzo degli austriaci in età di lavoro è disoccupato. In marzo i ferrovieri, rimasti senza stipendio, scendono in sciopero. Il 4 di quel mese si riunisce il Parlamento per discutere tre mozioni. La prima, dei socialdemocratici, viene bocciata con 92 voti contro 70: chiedeva che ai ferrovieri fosse pagato il dovuto e che nessuna azione disciplinare fosse disposta nei loro confronti.

La seconda mozione, del Partito grande-tedesco, chiede che le Ferrovie siano ricondotte sotto la diretta amministrazione dello Stato e che gli scioperanti siano trattati con “clemenza”. La terza, del Partito cristiano sociale che è al governo, chiede invece severe misure disciplinari per i ferrovieri che hanno incrociato le braccia. La mozione del Partito grande-tedesco viene bocciata nella sua prima parte, ma a sorpresa il Parlamento approva con un solo voto in più la seconda (quella sul trattamento “clemente”). Ciò comporta automaticamente che non debba più essere messa in votazione la terza mozione dei cristiano-sociali, che auspicava invece il contrario.

A questo punto scoppia una animata discussione, che rende necessaria una interruzione della seduta. Il presidente socialdemocratico del Parlamento, Karl Renner (quello stesso che sarà il primo cancelliere dopo la fine della Seconda guerra mondiale), rassegna le dimissioni, per una questione insorta nel conteggio delle schede di voto.

Gli subentra il secondo presidente, Rudolf Ramel, cristiano-sociale come il cancelliere. Intende dichiarare non valida la votazione sulle tre mozioni, ma il Parlamento è contrario, per cui anche lui rassegna le dimissioni. Il terzo presidente, Sepp Straffner, esponente dei grandi-tedeschi, dichiara di non sentirsi in grado di gestire i lavori parlamentari e rassegna lui pure le dimissioni.

Tutti danno per scontato che nei giorni successivi ci sarebbe stata una riconvocazione del Parlamento, per ricostituire gli organi di presidenza e riprendere i lavori, ma non fanno i conti con Dolfuss, che approfitta dell’occasione per dichiarare sciolto il Parlamento. Dolfuss si avvale di una legge promulgata nel 1917, che affida al governo i pieni poteri. Era una legge concepita in tempo di guerra, ma mai abrogata. Dolfuss se ne approfitta per trasformare la repubblica austriaca in una dittatura.

I socialdemocratici non se ne rendono conto e quando il 15 marzo intendono riprendere la seduta parlamentare del precedente giorno 4, che essi considerano soltanto interrotta, trovano la strada sbarrata dai poliziotti. Il presidente della Polizia (ha le funzioni di un questore e ancor oggi a Vienna si chiama così, “presidente”, mentre negli altri Länder la qualifica è di “direttore”), contrario al provvedimento del cancelliere di impedire la seduta, è costretto il giorno dopo alla pensione anticipata.

Il presidente della Repubblica, Wilhelm Miklas, potrebbe destituire il governo, ma non lo fa, forse perché complice della svolta autoritaria voluta da Dolfuss. Oltre un milione di firme raccolte in quattro e quattr’otto non sono sufficienti per indurlo a far rispettare la Costituzione.

La giunta di Vienna – allora, come oggi, socialdemocratica – si appella alla Corte costituzionale, che però è paralizzata dalle dimissioni improvvise presentate da alcuni sui membri fedeli al Partito cristiano-sociale di Dolfuss. L’opposizione grande-tedesca, avrebbe potuto reagire, ma rimane inerte, perché poche settimane prima Adolf Hitler aveva preso il potere in Germania, e la prospettiva di un “Anschluss” rendeva superflua l’opposizione al regime di Dolfuss, che si riteneva ormai di breve durata.

La prima repubblica democratica austriaca è finita banalmente così. Per un Parlamento che si è azzoppato nell’approvazione di una semplice mozione su uno sciopero di ferrovieri. Per un presidente della Repubblica che ha preferito voltarsi dall’altra parte. Per una Corte costituzionale che si è inceppata nel suo funzionamento.

La tragicità di quel che è accaduto è che nessuno dei passaggi che abbiamo ricordato era premeditato, nessuno allora ne avrebbe potuto prevedere le conseguenze, che furono quattro anni di dittatura fascista, seguiti dall’”Anschluss” alla Germania nazista e una guerra mondiale. Anche allora, evidentemente, molti avevano ritenuto che la libertà di cui godevano non corresse alcun pericolo.

NELLA FOTO d’archivio, militari davanti al Parlamento di Vienna, nei giorni dell’instaurazione della dittatura fascista.

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