Sabato 18 Maggio 2024

Austrian Vice Chancellor Spindelegger and Chancellor Faymann listen during a news conference after a cabinet meeting in ViennaArriverà prima o poi una imposta patrimoniale in Austria? Se ne discute da tempo, ma nelle ultime settimane il confronto politico sull’argomento si è fatto sempre più acceso e ha messo ancor più in evidenza la diversità di vedute tra i due partiti di quella che un tempo avremmo definito la “Grosse Koalition” (mentre ora supera appena il 50% e non è più tanto “grosse”) al governo dell’Austria: il Partito socialdemocratico (Spö) e il Partito popolare (Övp).

Imposta patrimoniale, detta anche con una sottile vena di populismo “Reichensteuer” (imposta sui ricchi) o “Millionärsteuer” (imposta sui milionari). La reclamano a gran voce i socialdemocratici, che ne hanno fatto un cavallo di battaglia, mentre si oppongono alla sua introduzione i popolari. In che cosa dovrebbe consistere lo ha spiegato con sufficiente chiarezza il ministro Josef Ostermayer, braccio destro del cancelliere Werner Faymann e quindi “interprete autentico” del pensiero socialdemocratico.

Innanzitutto andrebbe a colpire soltanto i patrimoni al di sopra di un milione di euro, con un aliquota a scaglioni, a seconda dell’ammontare del patrimonio, dallo 0,1 allo 0,9%. Ma che cosa si intende per patrimonio? Risponde Ostermayer: tutti i beni di cui un cittadino austriaco dispone. Quindi il denaro liquido, il valore degli immobili posseduti, i pacchetti azionari, le auto, i quadri e altre opere d’arte. Rimarrebbero espressamente esclusi i beni aziendali.

Detto così, sembra cosa fatta. Ma come si accertano i beni che rientrano nel patrimonio del cittadino-contribuente? come se ne calcola il valore? come si calcola, per esempio, il valore di un immobile, la cui rendita catastale è ferma in Austria dal 1973, mentre nel frattempo il valore di mercato si è decuplicato? Sono interrogativi da far tremar le vene e i polsi, ma che non sembrano scomporre Ostermayer: saranno gli stessi contribuenti a dichiarare al fisco ciò che posseggono. Nessun timore di false dichiarazioni, nessun timore di fughe all’estero, com’era avvenuto in Francia (tutti ricordano il caso di Gérard Depardieu, che nel 2012 si trasferì in Russia). Il modello è quello Svizzero, dove l’autodenuncia del patrimonio sembra funzionare.

Il modello Ostermayer considera che i “ricchi” in Austria, con un patrimonio superiore al milione di euro, siano 80.000. Secondo uno studio dell’Università di Linz, commissionato dall’Arbeiterkammer (la Camera del lavoro), il loro patrimonio ammonterebbe a 390 miliardi. È questa grande torta che la nuova imposta andrebbe a colpire, procurando all’erario austriaco un entrata di 1,5 miliardi di euro, che, con la reintroduzione dell’imposta di successione e dell’imposta sulle donazioni (entrambe dichiarate incostituzionali nel 2008 e lasciate decadere dal governo di allora, che rinunciò a emendarle e a renderle “costituzionali”), farebbe salire il gettito a 2 miliardi. Il nuovo “tesoretto” consentirebbe dal 2015 un alleggerimento del carico fiscale sui redditi da lavoro.

Negli uffici del ministro delle finanze Michael Spindelegger (Övp) queste stime sono messe fortemente in dubbio, se non altro perché sono state fornite dall’Università di Linz su incarico dell’Arbeiterkammer: cioè socialdemocratici che, con soldi pubblici, incaricano altri socialdemocratici di trovare un numero che fa tanto più comodo ai socialdemocratici quanto più alto è. Ai numeri di Ostermayer  Spindelegger contrappone altri numeri, che non assomigliano neanche alla lontana ai primi.

Le resuscitate imposte su successioni e donazioni, secondo il ministro dell’Övp, non supererebbero il gettito di 15 milioni (contro i 500 ipotizzati da Ostermayer), quella patrimoniale arriverebbe a 110 milioni (anziché a un miliardo e mezzo). La vistosa differenza deriva dai differenti metodi di calcolo: l’Spö, per esempio, considera il valore di mercato degli immobili; l’Övp, invece, tiene conto del gettito dato dall’imposta patrimoniale quando era ancor in vigore (fu abolita nel 1993) e da quella sulla successione (abolita nel 2008).

L’Övp contesta anche il riferimento al modello svizzero, secondo cui “se l’imposta patrimoniale funziona là, perché non dovrebbe funzionare anche da noi?”. La risposta negativa dei popolari è implicita nel carico fiscale molto diverso tra i due Paesi. In Svizzera l’Iva è tra il 3,5 e l’8 per cento, mentre in Austria è al 20 (quasi come in Italia). Il carico fiscale complessivo in Svizzera è del 28%, mentre in Austria è del 43,1% (anche questo dato è molto vicino a quello italiano).

Insomma, anche in Austria l’applicabilità di un’imposta patrimoniale suscita dubbi e perplessità. Ed è curioso ricordare che ad abolirla, nel 1993, fu proprio un ministro delle finanze socialdemocratico, Ferdinand Lacina, che l’aveva giudicata – parole sue – difficile da amministrare, scomoda nell’applicazione e non in grado di produrre un buon gettito fiscale. Venti anni dopo viene riproposta dagli stessi socialdemocratici. Risponde certamente a un’esigenza di equità, ma non tiene conto di ciò che aveva constatato Lacina: difficile da accertare e difficile da applicare. Il gettito potrebbe essere di poco superiore ai costi di riscossione.

 

[Questo articolo è già stato pubblicato da “Realtà Industriale”, mensile di Confindustria Udine]

 

NELLA FOTO, il cancelliere Werner Faymann (Spö), a destra, e il vicecancelliere (e ministro delle finanze) Michael Spindelegger (Övp), su posizioni contrapposte in materia fiscale.

 

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