Se c’è una ragione per cui l’Austria del secondo dopoguerra ha visto andare d’amore e d’accordo i due principali partiti politici – quello socialdemocratico (Spö) e quello popolare o cristiano-sociale (Övp) – fin prima acerrimi nemici, la si deve ricercare nella data del 12 febbraio 1934, esattamente 90 anni fa. Quel giorno la cosiddetta Prima repubblica, nata solo pochi anni prima dalle ceneri dell’impero, conobbe la guerra civile. O, come si usa dire ancor oggi con una certa enfasi, vide “austriaci sparare ad austriaci”.
Da una parte gli operai in rivolta aderenti al Partito socialdemocratico, dall’altra l’artiglieria schierata dall’esercito su ordine del cancelliere Engelbert Dollfuss, leader delle forze nazionaliste di destra riunite sotto la bandiera del Vaterländische Front. I morti negli scontri furono 1600, nove gli impiccati.
Quel 12 febbraio di 90 anni fa segnò il destino dell’Austria, che solo pochi mesi dopo sarebbe diventata una dittatura sul modello del fascismo italiano. Ma soprattutto aprì un fossato invalicabile tra l’area cristiano-sociale e quella socialdemocratica, che si rivelerà fatale quattro anni dopo, con l’”Anschluss” dell’Austria alla Germania di Hitler. I cristiano-sociali, divenuti austro-fascisti, avevano una concezione autoritaria dello Stato come i nazisti del Reich, ma volevano un’Austria autonoma e rifiutavano un’annessione alla Germania. Avrebbero avuto poche chance di difendere la propria indipendenza, dopo essere state scaricate dall’Italia di Mussolini, che fin prima aveva svolto un ruolo di potenza tutrice.
Il dissidio tra cattolici e socialdemocratici aprì le porte a Hitler
Gli unici su cui avrebbero potuto contare per resistere ai carri armati di Hitler sarebbero stati i socialisti, con cui avrebbero potuto formare un fronte unitario di resistenza, ma con questi il dialogo era interrotto, dopo il bagno di sangue del 12 febbraio del 1934. Per giunta, il Vaterländische Front si ispirava alla dottrina sociale della Chiesa, che aveva scomunicato i socialisti, rendendo di fatto impossibile qualsiasi collaborazione.
Una delle ragioni del successo del nazismo in Austria e dell’euforia con cui gli austriaci accolsero i tedeschi che erano venuti a invadere il loro territorio si spiega così. Ed è questa lezione del passato che nel 1945, a guerra finita, indusse il Partito popolare (questo il nuovo nome assunto dai cristiano-sociali) e il Partito socialdemocratico a non ripetere gli errori del 1934. Le divergenze ideologiche restavano e restava l’ostilità della Chiesa cattolica nei confronti dei “rossi” (cambierà atteggiamento soltanto quando ne diventerà primate il cardinale Franz König), ma bisognava a tutti i costi lavorare insieme per risorgere l’Austria dalle macerie e dimostrare unità di fronte alle forze alleate occupanti.
A quel tempo si coniò la definizione di “Geist der Lagerstrasse” (“Spirito della strada dei lager”), perché i leader di allora – Leopold Figl (Övp) e Franz Olah (Spö) – erano stati entrambi deportati nei lager di Hitler. L’esperienza comune in quei luoghi di sofferenza e di morte aveva insegnato loro la strada del dialogo e della collaborazione. E l’azione politica che ne derivò fu detta anche per questo “Konkordanzdemokratie”, un termine che non ha bisogno di traduzione.
Quello spirito ispirò tutti i primi anni della rinata Repubblica, garantendo una pace sociale che è stata un fattore determinante per consentire all’Austria di uscire dalle difficoltà postbelliche e di raggiungere il progresso economico che oggi conosciamo. Con il tempo, tuttavia, lo spirito della ”Lagerstrasse” si è andato affievolendo, anche perché i protagonisti di quell’epoca non ci sono più e perché i due partiti, che fino agli anni ’80 occupavano da soli quasi il 90% dello spettro politico, oggi si sono ridotti a dimensioni modeste, tanto da non raggiungere insieme nemmeno il 50% dell’elettorato. Il nome “Grosse Koalition”, che spesso si usa per indicare l’alleanza tra socialdemocratici e popolari, oggi non corrisponde più alla realtà.
Forse per questo, benché sia passato quasi un secolo dal giorno in cui “austriaci spararono contro austriaci”, risulta impossibile una memoria condivisa di quell’evento. Ed è anche per questo che oggi in Austria non c’è stata alcuna cerimonia che lo ricordasse e rendesse omaggio alle sue vittime.
NELLA FOTO, militari schierati il 12 febbraio di 90 anni fa davanti alla Staatsoper, pronti a sparare contro le formazioni socialdemocratiche, anch’esse militarizzate.
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