Sabato 18 Maggio 2024

17.10.30 Burkaverbot, polizia, niqabIn Austria è in vigore da un mese la legge che vieta il burka e un primo bilancio della polizia riferisce di 30 casi accertati nelle prime due settimane a Vienna. Salvo sei casi, negli altri si è trattato di cittadini austriaci, di entrambi i sessi, sorpresi in luoghi pubblici con il volto mascherato.

Sì, perché un problema che nasce nell’imposizione della nuova norma è proprio questo: la legge non vieta esplicitamente il burka o gli altri indumenti della tradizione islamica che coprono completamente il volto, perché sarebbe in contrasto con la Costituzione. L’obiettivo del governo era evidentemente quello di costringere le donne islamiche a uscire di casa a volto scoperto – tant’è vero che la legge viene comunemente chiamata “Burkaverbot”, che significa “divieto del burka” – ma, non potendolo dire apertamente, ha dovuto indicare genericamente mascheramenti del volto, che ne impediscano l’identificazione.

La conseguenza è stata che tra le persone fermate e multate in questo primo periodo di applicazione del “Burkaverbot”, alcuni erano clown che facevano spettacoli di strada, altri erano travestiti con indumenti di pubblicità commerciale, altri ancora erano giovani che stavano girando un film davanti al Parlamento (nell’ambito di un’iniziativa istituzionale promossa dallo stesso Parlamento nella giornata delle “porte aperte”). Uno degli episodi di cui hanno riferito anche alcuni giornali in Italia ha riguardato un ragazzo travestito da squalo, che passeggiava avanti e indietro davanti a un negozio di computer, che ha appunto lo squalo nel proprio marchio. Non sempre le contestazioni si sono concluse con il pagamento della sanzione: una signora viennese, che per il freddo si era avvolto il viso in uno scialle, si è rivolta a un legale, con il proposito di portare il suo caso fin davanti alla Corte costituzionale.

Si contano sulle dita, invece, gli interventi della polizia nei confronti di donne islamiche che effettivamente indossavano il burka o il niqab. Quello più clamoroso, di cui hanno riferito i giornali di Vienna, è accaduto nella Mariahilferstrasse, ma non sappiamo con certezza se figuri nei 30 interventi indicati dalla polizia. Potrebbe essere uno in più, perché ha riguardato una giovane islamica completamente velata, che è stata affrontata da una cittadina austriaca, non dalla polizia. All’invito della donna a togliersi il velo, la giovane ha reagito con violenza, scaraventandola a terra.

Alla luce di questo discutibile bilancio vanno interpretate le critiche che un sindacalista della polizia, Hermann Greylinger, ha rivolto pubblicamente al suo “datore di lavoro”, il ministro degli Interni Wolfgang Sobotka. La legge che vieta il burka “non sarebbe applicabile, perché per ragioni di costituzionalità in essa non si dice esplicitamente che il divieto riguarda il burka e così ne è derivata una porcata”. La legge andrebbe quindi riscritta. Greylinger appartiene all’ala socialdemocratica del sindacato di polizia e le sue parole nei confronti di un ministro che appartiene all’Övp (Partito popolare) vanno prese con le pinze.

Il presidente della Polizia di Vienna (in Austria esiste questa carica solo nella capitale e corrisponde a quella di “direttore della Polizia” negli altri Länder) Gerhard Pürstl ha respinto infatti le recriminazioni del rappresentante sindacale. “La legge – ha dichiarato il comandante dei poliziotti viennesi all’agenzia Apa – dal punto di vista della Polizia è naturalmente applicabile. Non vedo nessun grosso problema e non c’è alcun motivo di agitarsi. Il numero dei provvedimenti effettivamente non è in rapporto proporzionale con l’attenzione che si cerca di raggiungere. Così come per ogni legge, quando si passa dalla teoria alla pratica, possono insorgere inizialmente piccoli equivoci. Ma si devono affrontare con realismo e pacatezza”.

Insomma, siamo in una fase di rodaggio, in cui può capitare che la legge sia applicata a sproposito. Ma come mai dopo un mese il numero degli interventi nei confronti di donne islamiche velate è così modesto? La risposta forse era già scritta in un’intervista che il ministro per l’Integrazione Sebastian Kurz (ora cancelliere incaricato di formare il futuro governo) aveva rilasciato nel 2011.

A quel tempo il giovane esponente del governo (allora era soltanto “sottosegretario per l’Integrazione”) si lamentava che i giornalisti gli rivolgessero sempre le stesse domande su tre temi: velo islamico, burka e minareti. E a Carina Kerschbaumer, della “Kleine Zeitung”, aveva spiegato: “L’integrazione non si riduce alla questione burka sì, burka no. In Austria non ci sono nemmeno cento donne che indossano il burka. Se io ho l’impressione che un giornalista abbia già in mente il titolo, sicuramente non glielo fornisco io”.

Ma se, dunque, parola di ministro, in Austria non ci sono nemmeno cento donne  con il volto coperto era necessario approvare una legge del genere? Lo sforzo valeva la candela? Il sospetto che vi fossero ragioni di propaganda elettorale sono più che giustificate. Probabilmente le stesse ragioni per cui nei mesi scorsi il governo austriaco ha investito alcune decine di milioni per interventi logistici ai valichi di confine, per arginare un traffico di profughi che attualmente è quasi inesistente e che, comunque, viene già arginato dalle pattuglie miste italo-austriache di polizia. È già capitato in passato che si inventassero minacce per poi vantarsi di averle sapute affrontare con energia e decisione.

 

NELLA FOTO, una donna con il volto velato fermata da poliziotti austriaci.

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