Lena Schilling (nella foto) è stata il personaggio che ha involontariamente contribuito al modesto risultato dei Verdi alle recenti elezioni europee. Il segretario Werner Kogler l’aveva proposta come candidata capolista e il congresso del partito aveva approvato la scelta con il 96,6% dei voti. Ne avevamo scritto il 24 maggio, spiegando che si trattava di una ragazza di 22 anni, non iscritta al movimento dei Verdi (anzi in polemica con loro, perché ritenuti troppo morbidi sui temi ecologici), diventata improvvisamente nota per aver guidato le proteste ambientaliste.
Kogler aveva voluto cooptarla nel suo partito, offrendole addirittura il primo posto in lista, nella convinzione che il suo nome avrebbe richiamato al voto un’ampia fascia di giovani. Purtroppo aveva fatto i conti senza l’oste. E l’oste, in questo caso, era stato il quotidiano Der Standard, che in un articolo apparso il 7 maggio, a un mese soltanto dal voto, aveva reso pubblici comportamenti della ragazza, che mettevano in cattiva luce la sua personalità e il suo carattere. Erano seguiti altri articoli ancor più critici, che erano stati ripresi da più giornali. Anche noi ne avevamo riferito, perché altrimenti non sarebbe stato possibile per i nostri lettori comprendere l’esito delle votazioni.
Ma erano giustificate le informazioni diffuse da Der Standard? Il giornale aveva il diritto di indagare nella vita privata di Lena Schilling? Di solito si afferma che chi si mette in politica non ha più una vita privata, perché tutto quello che lo riguarda diventa politico.
Il caso di Lena Schilling è stato portato all’attenzione dell’Österreichischer Presserat (Consiglio della stampa austriaca), un’istituzione che in Austria svolge un ruolo simile a quello dei Consigli di disciplina esistenti presso tutte le sedi regionali degli Ordini dei giornalisti. La situazione però è completamente diversa. In Austria, come in quasi tutti i Paesi del mondo, non esiste una corporazione dei giornalisti rappresentata addirittura da un ordine professionale. Il caso italiano è un unicum.
Esiste tuttavia il Presserat, che è un’istituzione privata, a cui aderiscono volontariamente i giornali, accettando di sottoporsi al suo codice deontologico. Nel corso degli anni quasi tutte le testate hanno dato la loro adesione. Sottostare al codice deontologico è quasi sinonimo di “giornalismo di qualità”. La Kronen Zeitung, tanto per intenderci, che con i suoi contenuti scandalistici copre il 40% dei lettori austriaci, non ha dato la sua adesione e non si sottopone alle norme deontologiche.
Der Standard è considerato uno dei quotidiani austriaci più seri e impegnati e, naturalmente, aderisce al Presserat. Questa volta, però, la sua campagna contro Lena Schilling ha ottenuto la censura dei “vigilanti”, per l’esagerata attenzione dedicata ai comportamenti della candidata verde, alla quale venivano attribuiti problemi caratteriali, se non addirittura psichici.
Nel formulare la sua censura il Presserat non ha messo in discussione la libertà del giornale di valutare l’attitudine caratteriale di chi fa politica o si candida per una carica. Anzi – ha ribadito – è proprio compito di una stampa seria indagare sull’integrità delle persone che aspirano a ruoli pubblici. Nel caso in esame, tuttavia, l’accanimento di Der Standard sarebbe stato sproporzionato e soprattutto basato su fonti anonime, senza adeguate prove oggettive dei comportamenti censurati. Inoltre, sempre secondo il Presserat, per i problemi di natura psichica attributi alla candidata capolista dei Verdi, proprio per il danno che avrebbero causato alla persona, sarebbe stata necessaria una ricerca più approfondita e documentata.
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