Sabato 18 Maggio 2024

12.09.22 kinderheim-frauen-zwangssterilisierungPer alcuni decenni negli istituti austriaci che ospitavano ragazze con handicap psichici veniva praticata la sterilizzazione coatta, per prevenire gravidanze indesiderate. Se ne sta discutendo in questi giorni in Austria per la prima volta, dopo un servizio sull’argomento messo in onda dal notiziario di mezzogiorno dell’Orf, l’emittente radiofonica pubblica. Le ragazze erano all’oscuro di ciò che veniva loro fatto. Ma lo sapevano invece i genitori. Secondo lo psichiatra infantile Ernst Berger, erano i responsabili degli istituti a convincerli a fare sterilizzare le loro figlie, ponendo questa condizione per l’ammissione al convitto. Quasi sempre i genitori non avevano altra scelta e davano il loro consenso.

 

L’intervento veniva registrato ufficialmente come appendicectomia. Le ragazze ne erano inconsapevolmente vittime, i genitori e i responsabili delle istituzioni di ricovero tacevano. Uno dei segreti meglio conservati dell’Austria del dopoguerra, anche se era un segreto di Pulcinella. Tutti sapevano, tutti tacevano. Così fino al 2001, quando il legislatore è intervenuto nella materia, disponendo che la sterilizzazione di persone con handicap potesse essere praticata soltanto dopo l’esame di un perito medico e un provvedimento autorizzativo del tribunale.

 

Secondo Berger e Volker Schönwiese, esperto legale nel campo dell’handicap, sarebbe stato lo psichiatra viennese Andreas Rett, deceduto nel 1997, a incoraggiare la sterilizzazione coatta per giovani con un quoziente di intelligenza inferiore a 85. In questo modo – temono Berger e Schönwiese – potrebbero essere state private della possibilità di procreare anche donne che, secondo i criteri di oggi, non sarebbero neppure considerate handicappate.

 

Il “danno collaterale” della sterilizzazione sarebbe stato quello di facilitare gli episodi di violenza sessuale nei convitti o, per dirla in altri termini, di rendere più difficile la scoperta di violenze sessuali compiute da assistenti o da altri handicappati ospiti del convitto. “Perché l’impossibilità che le ragazze restassero incinte – ha osservato Berger – dava carta bianca per gli abusi sessuali. Attraverso la sterilizzazione, infatti, non venivano impediti episodi di violenza, ma soltanto la gravidanza che poteva derivarne”.

 

Berger non fornisce cifre. Non è possibile sapere quante siano state le donne che fino al 2001 avevano subito la sterilizzazione, né quanti siano stati i casi di abusi sessuali avvenuti in istituzioni chiuse come i convitti per handicappati, dove le vittime non avrebbero avuto modo di difendersi, né, proprio per la loro condizione mentale, sarebbero state credute, se fossero riuscite a denunciare le violenze subite (basti pensare alle centinaia di episodi di pedofilia venuti alla luce in seminari e collegi religiosi e taciuti per anni).

 

Schönwiese vede nella sterilizzazione una prosecuzione della tradizione eugenetica del 19. Secolo, secondo cui le persone con handicap avrebbero rappresentato una minaccia per la razza e dovevano essere perciò isolate, fino a giungere addirittura alla loro eliminazione fisica, al tempo del nazismo. E del resto Andreas Rett, fautore della sterilizzazione, era stato membro del partito nazista e – secondo Schönwiese – non si sarebbe mai dissociato dai principi dell’eugenetica.

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