Lavarsi frequentemente le mani è una delle tre principali raccomandazioni che ci vengono rivolte in questi giorni per evitare i contagi da Coronavirus. Le altre sono l’uso della mascherina e il distanziamento tra le persone. Ma è l’abluzione delle mani la vera “arma segreta” per fermare l’epidemia. Una misura igienica che per molti è scontata ed era scontata anche prima dell’arrivo di questo nuovo virus. Ma non è sempre stato così. Per secoli la scienza medica aveva trascurato l’igiene personale, non rendendosi conto che proprio la mancanza di igiene nelle abitazioni e nei luoghi di cura era la causa principale di infezioni che spesso conducevano alla morte.
Una drastica riduzione della mortalità fu raggiunta nell’800 non grazie alla scoperta di vaccini o di altri prodigiosi ritrovati scientifici, ma all’uso del sapone, fino ad allora sconosciuto. Questa banale “rivoluzione culturale” avvenne proprio a Vienna, grazie a un medico che però non era austriaco, ma ungherese, Ignaz Semmelweis. In questo caso si può affermare che la celebre scuola medica viennese non ebbe alcun merito, semmai il demerito di aver ostacolato fino all’ultimo la battaglia di Semmelweis in favore del sapone.
Ma partiamo da dove tutto ebbe inizio. Ignaz Semmelweis, giovane medico ungherese, arrivò a Vienna verso la metà del 19. secolo e iniziò a lavorare nell’Ospedale generale. Nel reparto maternità, diretto dai medici, Semmelweis non tardò a notare che un numero sproporzionato di puerpere erano colpite da febbre, che appunto, riguardando le puerpere, veniva definita “febbre puerperale”. Viceversa, nel reparto dove operavano le ostetriche, si ammalavano molte meno donne. Indagando su questo fenomeno, Semmelweis riconobbe rapidamente che c’era un nesso tra l’igiene carente dei medici e il tasso di mortalità delle puerpere. Per questo motivo viene citato ancora oggi come “il salvatore di madri”.
La sua constatazione all’epoca fu rivoluzionaria. Semmelweis non si limitò a mettere alla berlina i suoi colleghi, mise anche in discussione una prassi consolidata, sulla quale nessuno prima di allora aveva espresso alcun dubbio. Si instaurò un clima di tensione che portò a discussioni sempre più accese, che generalmente finivano liquidando Semmelweis come un farneticante sognatore. Finì che, in seguito alle pressioni dei suoi oppositori, il suo contratto nel 1849 non fu più rinnovato e Semmelweis ritornò a Pest (l’odierna Budapest). Non superò mai il rifiuto e l’opposizione alle sue conoscenze. Morì in circostanze mai del tutto chiarite nell’Istituto psichiatrico regionale della Bassa Austria, a Wien-Döblin.
Grazie alla “scoperta del sapone”, che a noi oggi appare più o meno come la “scoperta dell’acqua calda”, Semmelweis è entrato non solo nei libri di storia della medicina, ma anche nel lessico, per lo meno inglese. Si parla infatti del “riflesso di Semmelweis”, per definire il rifiuto immediato di una conoscenza scientifica o di un’informazione, senza il minimo sforzo di una riflessione o verifica.
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NELLA FOTO, il dottor Ignaz Semmelwies, nel ritratto che gli fece Eugen Doby.
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