Sabato 18 Maggio 2024

22.02.05 Corte di giustizia dell'UeL’indicizzazione degli assegni familiari per i lavoratori stranieri in Austria, le cui famiglie sono rimaste nei Paesi di origine, ha i giorni contati. L’Avvocatura generale presso la Corte di giustizia dell’Unione Europea, infatti, ha dichiarato il provvedimento dello Stato austriaco in contrasto con il principio dell’Ue sulla libertà di circolazione dei cittadini e un atto di discriminazione motivato esclusivamente dall’appartenenza statuale.

Stiamo parlando dei sussidi di varia natura destinati alle famiglie di chi lavora in Austria. Non solo assegni familiari, ma anche contributi per i figli a carico, detrazioni fiscali, agevolazioni varie. Nel 2019 il primo governo di Sebastian Kurz – una coalizione di Övp (Partito popolare) e di Fpö (il partito dell’estrema destra sovranista) – in un rigurgito populista, aveva deciso un drastico taglio di queste sovvenzioni per i lavoratori stranieri: se il coniuge o i figli del lavoratore presente in Austria fossero rimasti in patria, gli assegni loro spettanti sarebbero stati rapportati al costo della vita in quel Paese.

Il senso di questa misura è chiaro. Siccome gran parte dei lavoratori immigrati (dalle badanti romene ai cuochi ungheresi, dai camerieri sloveni e croati ai metalmeccanici polacchi) proviene dai Paesi dell’Est, dove i redditi sono inferiori e di conseguenza anche il costo della vita è inferiore, ad essi lo Stato austriaco avrebbe versato sussidi inferiori rispetto a quelli versati ai lavoratori austriaci. Ovviamente, se il lavoratore immigrato fosse uno svizzero, il sussidio sarebbe superiore, perché in Svizzera la vita costa di più. Ma gli svizzeri che emigrano in Austria in cerca di lavoro sono mosche bianche.

Il ragionamento all’apparenza non fa una piega. In realtà, però, non spiega perché il lavoratore straniero, sulla cui busta paga le trattenute fiscali e previdenziali sono le stesse del collega austriaco, debba essere poi penalizzato con assegni familiari inferiori. Solo perché la famiglia non lo ha seguito ed è rimasta a casa? In tal caso, perché non applicare lo stesso calcolo agli austriaci che si sono trasferiti all’estero per lavoro con le rispettive famiglie? Perché non ridurre anche ad essi gli assegni familiari?

Sono sostanzialmente questi i ragionamenti seguiti dall’Avvocatura generale della Corte europea per contestare la legittimità dell’indicizzazione voluta dal governo Kurz. A promuovere l’azione era stata la Commissione europea. Ora la decisione spetta ai giudici della Corte, che nella maggior parte dei casi in passato si sono attenuti ai pareri espressi dall’Avvocatura.

Se così andranno le cose, verrà a cadere una delle iniziative di legge su cui aveva maggiormente puntato la propaganda di Kurz, perché avrebbe fatto risparmiare soldi ai contribuenti austriaci (non considerando che anche i lavoratori stranieri sono contribuenti in Austria). Il risparmio previsto era di 114 milioni di euro, ma alla resa dei conti quell’importo è risultato esagerato: dalla risposta data a un’interrogazione parlamentare è emerso che nel 2019 il risparmio si era ridotto a 62 milioni.

Soddisfazione è stata espressa in un twitt dal vicepresidente dell’Europarlamento, l’austriaco Othmar Karas, dello stesso partito di Kurz. “La decisione dell’Avvocatura generale – ha scritto – non mi sorprende. Sono sempre stato convinto di ciò e pertanto me l’attendevo”.

 

NELLA FOTO, la sede della Corte di giustizia dell’Unione Europea a Lussemburgo (da non confondere con la Corte europea dei diritti dell’uomo, che, pur trovandosi a Strasburgo a due passi dal palazzo del Parlamento europeo, non è un organo dell’Ue).

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