Sabato 18 Maggio 2024

22.04.06 Ambasciata russa a ViennaIl governo austriaco non intende applicare il nuovo pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia (il quinto ormai della serie), né ha rispedito a casa un solo diplomatico russo di quelli accreditati a Vienna, dopo le sconvolgente immagini dell’eccidio di Bucha. Da questo punto di vista, l’Austria appare il Paese europeo più filo-Putin, dopo l’Ungheria (che a suo tempo si era fatta rifilare persino il vaccino Sputnik, non riconosciuto dall’Ema) e dopo la Serbia (che però non è ancora membro dell’Unione Europea).

Questo atteggiamento si spiega in parte con ragioni di convenienza. L’Austria importa dalla Russia l’80% del suo fabbisogno di gas, ovvero il doppio della media europea. Se Putin un giorno decidesse chiudere il rubinetto, per il Paese sarebbero guai. Un lettore, qualche tempo fa, aveva definito una balla questo rischio, asserendo che in Carinzia nessuno usa il gas per riscaldare la casa e che “sfidava chiunque a provare il contrario”. Forse aveva ragione, ma la Carinzia è soltanto uno dei nove Länder austriaci e anche l’energia elettrica per uso domestico viene prodotta in parte da centrali a gas.

Le altre ragioni della vicinanza a Putin forse sono meno confessabili e vanno ricercate nei complessi intrecci tra quello che potremmo definire l’establishment politico austriaco e la Russia. Molti in Italia ricordano l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, diventato lobbista di Gazprom e amico di Putin, dopo aver lasciato la politica. Ma in Austria il numero dei politici che hanno seguito l’esempio di Schröder va moltiplicato per sei o per sette.

Ne abbiamo riferito qualche tempo fa, menzionando l’ex cancelliere Christian Kern (Spö) diventato poi uno dei dirigenti delle Ferrovie russe, l’altro ex cancelliere Wolfgang Schüssel (Övp), entrato nel consiglio di sorveglianza della Lukoil. Un discorso a parte va fatto per un terzo ex cancelliere, Alfred Gusenbauer (Spö), entrato nel consiglio di sorveglianza dell’austriaca Strabag e in ottimi rapporti con l’oligarca russo Oleg Daripaska, azionista al 27% della società.

L’ultimo ex cancelliere, Sebastian Kurz (Övp), non ha preso la strada della Russia (al contrario, è stato ingaggiato da un magnate dell’information technologie della California), ma il suo intimo amico Siegfried Wolf è manager della Russian Machines, del citato Daripaska, e lo è stato anche negli anni passati, quando era presidente di Sberbank Europe (braccio operativo in Europa della Sberbank russa) e Ceo di Öiag, la holding austriaca di cui fanno parte tutte le società partecipate dallo Stato. Tra queste anche la società petrolifera Omv, che produce, importa e commercializza prodotti petroliferi e gas, anche quello che arriva dalla Russia. L’Öiag dipende direttamente dal Ministero delle Finanze, che al tempo era retto da Hans Jörg Schelling (Övp). Sarà un caso che Schelling, dopo l’esperienza governativa, abbia avuto un incarico di consulenza da Gazprom?

Un’altra ex ministra, Karin Kneissl (Fpö), siede nel consiglio di sorveglianza di Rosneft, holding petrolifera statale russa. Tutti gli altri politici – chi prima, chi dopo – hanno lasciato gli incarichi ben pagati che avevano nelle società russe e hanno preso le distanze da Putin. Solo Kneissl non lo ha fatto, è ancora a libro paga di Rosneft e non intende rinunciare a quel posto, come ha dichiarato recentemente in un’intervista all’emittente televisiva tedesca Rtl. In una precedente intervista a Russia Today, strumento della propaganda di Putin, aveva definito il riconoscimento (da parte della Russia) delle Repubbliche del Donbass un atto del tutto normale secondo il diritto internazionale

Quanto ai diplomatici presenti in Austria, ricordiamo che sono circa 150, un numero esorbitante, ove si consideri che la Cina, per esempio, ne ha 59, il Regno Unito 52, la Germania 49. La presenza così corposa viene spiegata con il fatto che accanto all’ambasciatore accreditato presso lo Stato austriaco, vi sono altri due ambasciatori (con il loro seguito) accreditati rispettivamente all’Onu e all’Ocse, che hanno pure una sede a Vienna. Ma gli esperti di geopolitica austriaci sono convinti che una buona parte dei 150 diplomatici svolgano in realtà compiti di spionaggio.

Ieri i principali Paesi europei hanno deciso di rimandare in patria un certo numero dei diplomatici, come “persone non gradite”. Si è trattato di una reazione all’eccidio di Bucha. Lo hanno fatto, tra gli altri la Germania, la Francia, la Spagna, la Danimarca, la Slovenia, la Lettonia, la Lituania, l’Estonia la Svezia, la Macedonia del Nord. Lo ha fatto anche l’Italia, dando il foglio di via a 30 persone. Paesi come l’Olanda, il Belgio, la Polonia, l’Irlanda lo avevano fatto già nelle settimane scorse, senza attendere Bucha.

L’Austria, invece, ci sta riflettendo, ma per ora non ha deciso nulla. Come sta riflettendo se ospitare nel sul Parlamento, in collegamento video, il presidente dell’Ucraina, Wolodomyr Zelensky, che nel frattempo proprio ieri ha parlato all’Onu, dopo aver fatto sentire la sua voce nei Parlamenti dei principali Stati, dall’Europa all’Australia..

 

NELLA FOTO, il palazzo dell’Ambasciata russa a Vienna.

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