Sabato 18 Maggio 2024

13.07.29 lugano-banche-svizzere-120054Al tempo del governo Monti si era molto parlato di un accordo bilaterale con la Svizzera, per tassare i depositi di cittadini italiani nelle banche elvetiche, pur preservando il loro anonimato. Un accordo del genere lo avevano già stipulato a quel tempo Gran Bretagna, Germania e per ultima anche l’Austria. L’Italia aveva prima detto di no (per non discostarsi dall’indirizzo seguito dall’Ue, che puntava a una completa trasparenza dei conti bancari anche in Svizzera, come in altri paradisi fiscali) e poi di sì. Ma alla fine l’intesa era rimasta a mezz’aria.

 

Per mesi erano state fatte congetture su quanto avrebbe potuto incassare il fisco dai depositi costituiti più o meno illegalmente nei forzieri svizzeri. Ora lo sappiamo con ragionevole certezza. L’accordo con Gran Bretagna e Austria è entrato in vigore quest’anno (non quello con la Germania, perché bocciato dal Bundesrat, la “camera dei Länder”) e proprio in questi giorni il fisco austriaco ha incassato la prima tranche dell’imposta dovuta per il 2013: 416,7 milioni di euro, un importo che a fine anno, con il saldo, salirà a un miliardo. Fatte le debite proporzioni, se anche l’Italia avesse concluso lo stesso accordo, il ministro Fabrizio Saccomanni avrebbe potuto incassare quest’anno oltre 7 miliardi, risolvendo in un colpo solo tutti i problemi di Iva e di Imu che lo assillano.

 

L’affare naturalmente ha un “prezzo”, che i parlamentari tedeschi, per esempio, si sono rifiutati di pagare, bocciando l’accordo voluto dalla Merkel: i conti in Svizzera rimarranno definitivamente anonimi e non perseguibili fiscalmente o penalmente, quand’anche i loro titolari un giorno fossero identificati. È un “prezzo” morale, perché rappresenta uno schiaffo ai contribuenti onesti, che non si sono sottratti al fisco portando il loro tesoretto all’estero.

 

Quanti siano non lo si saprà mai, come ha spiegato il portavoce del Ministero delle finanze austriaco, Gregor Schütze. Dall’imposta incassata, infatti, non si può risalire al numero dei soggetti colpiti, perché l’aliquota applicata varia tra il 15 e il 38 per cento, a seconda dell’entità del deposito e della sua durata. Va precisato che il primo anno l’imposta ha un carattere patrimoniale: l’aliquota viene applicata sull’intero ammontare del deposito (conti correnti o titoli). Dal marzo del prossimo anno, invece, l’imposta verrà applicata soltanto sui rendimenti, con un’aliquota concordata per l’Austria del 25%, che corrisponde all’aliquota dell’imposta sulle società in quel Paese. Il gettito dovrebbe aggirarsi sui 50 milioni (e con questo importo è stato inserito nel bilancio di previsione poliennale).

 

Non tutti i conti in Svizzera di cittadini austriaci sono rimasti anonimi. In base all’accordo, 13.592 titolari hanno preferito beneficiare della opportunità di mettersi in regola, senza incorrere in sanzioni, dichiarando semplicemente al fisco quanto avevano affidato alle banche svizzere. Il loro patrimonio all’estero ammonta complessivamente a 4,4 miliardi, che ora saranno tassati direttamente dal fisco austriaco, senza l’intermediazione svizzera.

 

La ministra Fekter li ha definiti “evasori pentiti”. Un “ravvedimento” che l’accordo fiscale ha sicuramente incentivato, riducendo anche per il futuro la propensione alla fuga di capitali in Svizzera. Ma i 4,4 miliardi ora emersi rappresentano probabilmente soltanto la punta di un iceberg, le cui dimensioni erano stimate inizialmente in 15-25 miliardi di euro, mentre secondo calcoli più recenti salirebbero addirittura a 43 miliardi.

 

La ministra Fekter si è dichiarata molto soddisfatta per il risultato raggiunto, che le consentirà di rispettare le previsioni di bilancio. Ma il suo punto di vista non è condiviso da tutti. I Verdi, per esempio, sottolineano l’iniquità del trattamento riservato ai 13.592 evasori fiscali che si sono autodenunciati e che ora se la caveranno con una modesta sanzione fiscale, nemmeno alla lontana paragonabile con quanto versano al fisco i contribuenti in regola. I favorevoli all’accordo, dal canto loro, replicano che altrimenti i “rifugiati” in Svizzera avrebbero continuato indisturbati a non pagare nemmeno un centesimo di tasse.

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