Non è un dettaglio marginale il fatto che Josef Marketz, futuro vescovo della diocesi di Gurk-Klagenfurt, appartenga alla minoranza slovena della Carinzia. Nel darne notizia ieri lo avevamo sottolineato anche nel titolo. Mai prima d’ora, almeno dopo la caduta dell’impero, un esponente della comunità slovena era stato elevato a una carica ecclesiastica così importante. Che ora ciò sia stato possibile è un segno dei tempi.
Per quasi un secolo gli sloveni dell’Austria erano stati vittime del nazionalismo imperante, prima quello austrofascista, poi quello nazista. Anche dopo l’ultima guerra il sentimento antisloveno in Carinzia aveva continuato a marginalizzare questa minoranza. Per impedirne la rappresentanza nel Landtag (il consiglio regionale del Land), la soglia di sbarramento per l’elezione era stata elevata al 10% (unico caso in tutta l’Austria), percentuale irraggiungibile da una comunità sempre meno numerosa.
Se alla vigilia della Prima guerra mondiale gli sloveni della Carinzia erano oltre 66 mila (ma un secolo prima erano stati addirittura 137.000), ora ne sono rimasti poco più di 12.000. Un tale ridimensionamento è il risultato di una spietata politica di assimilazione, che dopo l’Anschluss del 1938 aveva comportanto anche la deportazione nei campi di concentramento degli sloveni meno “addomesticabili”.
Chi in Italia ricorda con nostalgia l’Austria tollerante e rispettosa delle identità dei suoi tanti popoli, pensa evidentemente all’Austria dell’impero. A quel tempo persino alla stazione Klagenfurt, città dove la presenza slovena è insignificante, accanto al nome tedesco appariva anche quello sloveno, Klagenfurt-Celovec, perché gli sloveni che vi giungevano in treno non si sentissero stranieri in patria.
Finita quella straordinaria stagione, le cose erano drammaticamente cambiate, sull’onda dei nazionalismi che nel secolo breve avrebbero contagiato l’intera Europa. E nella repubblica rinata dalle macerie della seconda guerra mondiale la condizione degli sloveni non era molto migliorata. Anche i governi socialdemocratici della Carinzia avevano continuato ignorarne la presenza e a negarne i diritti. Quando negli anni ’70 per la prima volta comparve la segnaletica bilingue nella fascia meridionale del Land, dove è maggiore la presenza slovena, scoppiò una mezza rivolta della popolazione tedescofona. Le nuove tabelle furono letteralmente divelte e il Landeshauptmann che le aveva volute fu costretto a dimettersi.
Negli anni di Jörg Haider i rapporti con gli sloveni furono sempre ambigui. Formalmente il leader della destra nazionalista volle dimostrare attenzione nei loro confronti, con sovvenzioni a scuole e istituzioni culturali e persino trasmissioni radio in sloveno, ma si oppose sempre alla segnaletica bilingue, ben comprendendone il grande valore simbolico.
Anche nelle elezioni regionali del 2004, le ultime prima della morte di Haider, il programma del suo partito elencava 10 punti, uno dei quali prevedeva che la Carinzia dovesse rimanere “einsprachig”, ovvero vi si dovesse parlare soltanto il tedesco. Haider quella volta fu premiato dagli elettori con oltre il 42%.
Soltanto in anni recenti il clima è cambiato, anche grazie al ritorno al governo della Carinzia di un Partito socialdemocratico diverso da quello al potere dal 1945 fino agli anni ’80, contraddistinto dalla presenza di ex nazisti convertiti (lo stesso Leopold Wagner, storico governatore del Land dal 1974 al 1988, si vantava spesso di essere stato in gioventù capo della Hitlerjugend). Ed è cambiato il clima anche a Vienna, dove, in base al Concordato, deve essere dato l’assenso per le scelte dei vescovi fatte a Roma. Se le cose fossero rimaste com’erano fino a pochi anni fa, Josef Marketz non sarebbe mai diventato vescovo e avrebbe contininuato a dirigere la Caritas diocesana.
NELLA FOTO, il vescovo designato della Carinzia Josef Marketz, nella sede della Caritas diocesana.
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