Sabato 18 Maggio 2024

Gazzettino 199220180529_17044934 - CopiaChe succederebbe se l’Italia uscisse dall’euro? Per il cittadino medio, senza competenze economico-finanziarie, è difficile rispondere. E pur tuttavia lo scenario dovrebbe essere noto a molti o almeno a quelli che hanno oltre trent’anni, perché hanno già vissuto questa esperienza nel 1992. Allora l’euro non c’era ancora, ma esisteva già lo Sme, il Sistema monetario europeo. Era un accordo tra i Paesi dell’Ue (che a quel tempo si chiamava ancora Comunità europea) per garantire la stabilità dei cambi, presupposto essenziale per favorire il commercio transfrontaliero e quindi la crescita economica di tutti.

Lo Sme prevedeva un’oscillazione dei cambi in più o in meno del 2,25%. Per alcuni Paesi più dissestati come l’Italia era stata concessa un’oscillazione maggiore: 6%. Ciononostante il sistema Paese non riuscì a rispettare nemmeno quei margini più larghi e il 14 settembre 1992, era un lunedì, il governo Amato fu costretto a svalutare la lira, uscendo dallo Sme.

Eravamo così fuori dalle briglie dell’Europa, finalmente di nuovo “sovrani in casa nostra” – come direbbe qualcuno oggi – e liberi di lasciare oscillare la lira a piacimento. Ma a quale prezzo? In un Paese di smemorati forse c’è ancora qualcuno che se lo ricorda. A tutti gli altri proponiamo l’articolo che la sera del 17 settembre 1992 avevamo dettato (allora non disponevamo ancora di internet e mail) da Klagenfurt per “Il Gazzettino” di Venezia, che lo pubblicò il giorno successivo in prima pagina.

Ecco il testo di quel servizio. Allacciatevi le cinture e tenetevi forte.

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KLAGENFURT – Il clima è del “si salvi chi può”. Nel giorno in cui l’Italia ha deciso l’uscita provvisoria dallo Sme, comitive di friulani e di veneti hanno preso la strada di Coccau, alla disperata ricerca di un rifugio sicuro per i loro sudati risparmi. Ieri le banche di Klagenfurt, ma soprattutto di Villaco, brulicavano di italiani.

Nei saloni d’ingresso della Bank für Kärnten und Steiermark, della Länderbank, della Sparkasse non si notava apparentemente nulla di strano, ma bastava raggiungere i locali più discreti degli Auslandabteilungen (uffici esteri) per incontrare frotte di nuovi clienti in paziente attesa a occupare tutte le sedie disponibili e sinanche i tavoli, ognuno con il suo “tesoro” custodito nella 24 ore (ma abbiamo visto anche cestini di vimini). Intere famiglie – mamma, papà, nonne e bambini – perché la legge italiana consente l’esportazione di 20 milioni di lire a testa.

Il fenomeno era in atto già da luglio, cioè da quando il governo Amato aveva tassato i depositi bancari in Italia al 6 per mille, ma è esploso dopo la prima svalutazione di lunedì scorso. Rispetto a giugno, secondo indiscrezioni delle banche di Klagenfurt i depositi italiani in Carinzia sono più che raddoppiati, ma probabilmente si tratta di una stima per difetto.

Le valutazioni in Austria sulla situazione economica italiana non sono lusinghiere. Nessuno crede che mercoledì la lira possa rientrare nello Sme e, a proposito del referendum francese su Maastricht, si dà quasi per scontato il voto negativo.

In questo clima di sfiducia generale nessuna banca in Austria accettava ieri mattina di cambiare lire e il mercato della nostra valuta si è riaperto soltanto nel pomeriggio, quando le banche hanno deciso di vendere marchi a 918 lire (erano 756 prima della svalutazione) e scellini a 128,87 (erano 108). Soltanto in alcune banche minori, come la Schoellerbank di Villaco, era possibile cambiare scellini a 124 lire.

I tassi di interessi praticati ieri dalle banche di Villaco e Klagenfurt erano del 7% per i depositi in scellini e del 7,5% per quelli in marchi (lievemente inferiori rispetto ai mesi scorsi per la riduzione dello 0,5% del tasso di sconto della Bundesbank, a cui lo scellino è collegato).

I depositi in lire venivano remunerati a un tasso variabile dal 13% (per un anno) al 17% (per un mese). Un rendimento ovviamente netto, dato che ai cittadini non residenti in Austria non viene applicata alcuna imposta sugli interessi.

 

NELLA FOTO, l’articolo pubblicato in prima pagina da “Il Gazzettino” il 18 settembre 1992.

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