Il Museo delle miniere di Klagenfurt non poteva avere una sede più opportuna: le gallerie di una miniera dismessa ai piedi del Kreuzberg, collina di roccia alle porte della città. Ed è qui, in tre “sale” di questo museo – che durante la guerra erano state usate come rifugio per la popolazione sotto i bombardamenti e come bunker per il Gauleiter e il suo staff – che ieri mattina è stata inaugurata la mostra dedicata a Jörg Haider, nell’anniversario della tragica morte. C’era molta attesa di visitarla, perché fino all’altro ieri non si sapeva quasi nulla dei contenuti e tutto lasciava prevedere una “beatificazione” del defunto Landeshauptmann.
Per fortuna non è stato così. Nonostante promotori e finanziatori della mostra fossero tutti uomini del Bzö, il partito di Haider, è stato scongiurato il pericolo molto forte di scivolare nell’apologia. Certo, siamo anni luce lontani da una ricostruzione critica della vita politica del leader scomparso – del resto impossibile a un solo anno dalla sua morte – ma il direttore del Museo delle miniere, Gerhard Finding, che ne ha curato l’allestimento, ha fatto un lavoro onesto. Ha raccontato la vita privata e pubblica di Jörg Haider con lo stile di un notaio, senza giudicare, senza criticare, ma anche senza approvare. Ha accostato l’uno all’altro tutti i tasselli di una vicenda umana e politica straordinaria, comunque la si giudichi. Gli va dato atto di non aver tralasciato nulla, nonostante le pressioni a cui sicuramente si sarà sentito sottoposto (quelle degli “eredi” del defunto, quelle della vedova Claudia, sempre incombente): tra i “tasselli” c’è anche il testo integrale dell’ormai famosa dichiarazione sull’”ordinata politica dell’occupazione del Terzo Reich” (che nel 1991 costò ad Haider la prima poltrona di Landeshauptmann) e ci sono pure quelli relativi allo “Stadtkrämer”, il locale per omosessuali di Klagenfurt, ultima tappa della notte di Haider tra il 10 e l’11 ottobre 2008, prima del tragico schianto sulla strada di casa. Finding avrebbe potuto sorvolare su questi due punti, ma gli va dato atto di non averlo fatto.
Avremo occasione un altro giorno di tentare una spiegazione del perché di questa mostra, del perché dopo un anno l’affetto della gran parte dei carinziani per Jörg Haider sia ancora così grande, del perché, nel tempo, sia cresciuto il numero delle persone che si recano a deporre fiori o messaggi di cordoglio sul luogo dell’incidente stradale o sulla tomba nella Bärental (la “valle degli orsi”), accanto all’antica chiesetta di Sankt Michael. Oggi ci accontentiamo di fornire alcune informazioni essenziali sulla mostra, per chi eventualmente fosse interessato a visitarla.
È divisa in tre sezioni (in altrettante sale della miniera): la vita privata di Haider, l’impegno politico, la tragica morte. La mostra è soprattutto una mostra di immagini: fotografie, pannelli luminosi, video. Pochi gli oggetti: le scarpine di cuoio cucite dal padre Roberto, calzolaio, quando Haider aveva due anni, un cavallo a dondolo, alcuni capi di vestiario (dai jeans al Tracht tipico carinziano), l’orologio, la pipa, la sedia dell’ufficio di Landeshauptmann, le agende, gli appunti dei suoi clamorosi discorsi del “mercoledì delle ceneri”, quelli in cui aveva sbeffeggiato avversari di casa e, dopo le sanzioni dell’Ue all’Austria, anche del resto d’Europa. C’è anche l’abito da sposa indossato da Claudia.
La terza sezione, quella dedicata alla tragica fine, presenta immagini dell’ultima giornata del governatore con le cerimonie del 10 ottobre (data importantissima in Carinzia, perché vi si celebra il referendum del 1920, che impedì che la fascia meridionale del Land fosse annessa alla Jugoslavia), la serata in una discoteca di Velden, lo schianto a Lambichl, sulla strada di casa, il funerale, il lutto manifestato dai carinziani con migliaia di lumini accesi ovunque e mazzi di fiori.
Non manca un riferimento anche alla tesi avanzata da alcuni che Haider non sia morto per aver guidato a velocità folle e stato di ubriachezza, ma sia stato vittima di un attentato. Il pannello relativo a questo tema si intitola “Molte domande in sospeso… e poche risposte”. Interpellato su questo punto nel corso della conferenza stampa che ieri mattina ha preceduto l’inaugurazione, il direttore Finding ha precisato di non aver voluto avvalorare la tesi del complotto, ma soltanto di aver registrato che molti in Carinzia la sostengono. Un lavoro da notaio, appunto.
Ieri la mostra era aperta soltanto ai giornalisti e a un numero limitato di invitati. Tra i presenti, con il governatore Gerhard Dörfler, il sindaco di Klagenfurt Christian Scheider e l’assessore alla cultura Albert Gunzer, anche gran parte della famiglia Haider: la vedova Claudia, la figlia Ulrike (con il marito italiano Paolo Quercia), la sorella Ursula Haubner e persino l’anziana madre Dorothea.
La mostra resterà aperta fino al 26 gennaio, con orario 9-16 (chiusura lunedì). Per raggiungere il Bergbaumuseum (il Museo delle miniere), arrivando a Klagenfurt dall’autostrada, si prende a sinistra il Villacher Ring fino all’incrocio (di nuovo a sinistra) con la Radetzkystrasse; si percorre quest’ultima fino in fondo. Tutti i pannelli sono scritti in tedesco, ma per i visitatori italiani sono disponibili audioguide nella nostra lingua.