Sabato 18 Maggio 2024

CAMERADomenica scorsa si è votato in Germania. Domenica prossima si voterà in Austria. I due appuntamenti elettorali hanno molti elementi in comune. Uno di questi – forse non il più importante, ma certamente curioso – è il numero dei partiti che si sono presentati agli elettori e che sono entrati o entreranno a far parte delle due assemblee legislative: una decina in Germania e altrettanti in Austria. Ma in Germania soltanto quattro sono stati premiati dal voto degli elettori ed entreranno nel Bundestag. Per l’Austria si dovrà attendere fino a domenica, ma si sa già con certezza che 7 partiti al massimo riusciranno a farcela (più probabilmente, però, saranno soltanto cinque).

 

Dunque, se abbiamo ben capito, il parlamento tedesco sarà formato soltanto da quattro forze politiche (la Cdu della Merkel che ha stravinto, l’Spd, i Verdi e i Linke), quello austriaco da un numero variabile tra 5 e 7.

 

Inevitabile il paragone con l’Italia, dove alle ultime elezioni politiche i partiti in lizza erano oltre 200, locali e nazionali, di cui 29 (ventinove!) sono ora presenti alla Camera e al Senato. Alla faccia della semplificazione che la legge Calderoli avrebbe dovuto favorire con l’introduzione di una soglia di sbarramento.

 

In questo blog ci occupiamo di Austria, per cui non è la sede adatta per approfondire un tema di natura istituzionale che riguarda l’Italia, ma proprio il confronto con ciò che accade nel nostro Paese ci consente di comprendere meglio il funzionamento del sistema austriaco (e di quello tedesco), dove i partiti si sono raddoppiati di numero rispetto a quel che erano soltanto qualche decina di anni fa, ma dove comunque si possono ancora contare sulle dita di due mani (o forse di una soltanto, vedremo il perché).

 

Nei commenti al risultato delle urne in Germania abbiamo sentito o letto che l’aggregazione degli elettori attorno a poche o pochissime forze politiche era dovuta a ragioni culturali o consuetudinarie. Può darsi che sia così. Ma a noi pare che la spiegazione sia più semplice: il partito che non supera la soglia del 5% resta fuori dal Bundestag. Persino un partito storico come Fdp (partito liberale), pur avendo raggiungo il 4,8%, nella prossima legislatura non sarà rappresentato nel Parlamento tedesco. In altre parole, gli elettori tedeschi hanno cancellato dalla tribuna politica l’unica forza conservatrice laica. Resterà soltanto quella di ispirazione cristiana della Cdu o dei “cugini” cristiano-sociali bavaresi.

 

In Austria il discorso è simile, anche se la soglia di sbarramento è leggermente più bassa (al 4%). I politologi non sono in grado di dire se nel prossimo Parlamento di Vienna entreranno 5 o 7 partiti, perché due di essi – il Bzö fondato da Haider nel 2005 e i Neos, costituitisi invece nei mesi scorsi nell’area liberale – sono dati dai sondaggi intorno al 3-4%. Insomma, pochi voti in più o in meno potrebbero essere determinanti per il loro ingresso nell’assemblea legislativa.

 

Va da sé che le conseguenze non sono di poco conto per quel che riguarda la futura governabilità dell’Austria. Se Bzö e Neos (o uno solo dei due) ce la faranno a entrare nel Parlamento, i due partiti maggiori oggi al governo – socialdemocratici (Spö) e popolari (Övp) – potrebbero non avere la maggioranza necessaria per riproporre una “Grosse Koalition” (che poi tanto “grosse” non è, visto che quella uscente può contare su poco più della metà dei deputati). Come abbiamo scritto in questo blog il 21 settembre, recenti sondaggi li davano insieme al 49%.

 

Ma se invece Bzö e Neos (o uno solo dei due) resteranno fuori dalle aule parlamentari, il computo dei seggi verrà fatto soltanto sui partiti restanti, che avranno superato la soglia di sbarramento. Nel qual caso il 49% della coalizione Spö-Övp salirebbe di qualche punto, consentendo la riedizione della “Grosse Koalition”.

 

Anche in Italia, come sappiamo, esiste una soglia di sbarramento del 4%. Come mai allora anche nel Parlamento italiano i partiti non sono 7 al massimo come in Austria, ma sette volte tanti? Perché lo sbarramento, da noi, è… all’italiana. Viene eluso dal sistema delle coalizioni. Quando più partiti si presentano insieme al voto, per essere eletti devono superare il 10%. La legge prescrive inoltre che ciascuna delle liste collegate ottenga almeno il 2% e che tra quelle che non lo ottengono entri in Parlamento comunque almeno quella che ha ottenuto la percentuale maggiore sotto il 2% (il cosiddetto “miglior perdente”). Questo vale per la Camera. Il sistema è simile anche per il Senato.

 

Insomma, la legge elettorale in vigore – criticata perché non consente di esprimere voti di preferenza e per i premi di maggioranza diversi per Camera e Senato che favoriscono l’ingovernabilità – presenta un altro aspetto critico nella soglia di sbarramento, il cui meccanismo sembra fatto apposta per favorire anziché contenere la frammentazione del quadro politico. Sempre che si consideri un vantaggio un quadro politico semplificato come in Germania e in Austria. A qualcuno 29 partiti in Parlamento potrebbero anche andar bene.

 

Nella foto, l’aula di Montecitorio dove sono presenti 29 partiti politici.

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