Sabato 18 Maggio 2024

16-09-22-toponomastica-bilingue-in-sud-tiroloEric Glantschnig è una guida escursionistica della valle del Gail, in Carinzia. Lo avevamo incontrato in agosto in vetta al monte Zermula, dove aveva accompagnato un gruppo di famiglie tedesche e olandesi, con molti bambini al seguito. In quell’occasione gli avevamo chiesto con che nome gli austriaci chiamano lo Zermula. “Zermula, come gli italiani”, ci aveva risposto, stupito dalla nostra domanda. Anche gli austriaci adoperano il toponimo italiano, perché il monte si trova in Italia e non esiste un equivalente in lingua tedesca. Soltanto i monti allineati lungo quello che un tempo era (e in parte è ancor oggi) il confine tra Austria e Italia portano due nomi, a seconda di come venivano chiamati sul versante sud e sul versante nord. Abbiamo così il Jof di Montasio, che gli austriaci chiamano Montasch, o il Coglians, per i nostri vicini Hohe Warte. Prendiamo, per fare altri esempi, la zona di Pramollo (in tedesco Nassfeld): i monti di confine su cui puntano molti impianti di risalita sono il Cavallo di Pontebba (per gli austriaci Rosskofel) e la Creta d’Aip (Trogkofel); il Gartnerkofel, invece, ha soltanto il nome tedesco, perché interamente in territorio austriaco.

Dopo la Prima guerra mondiale furono annessi all’Italia non soltanto Gorizia, Trieste e il Trentino, ma anche il Sud Tirolo, che era abitato quasi esclusivamente da popolazioni di lingua tedesca. Lì la guerra di conquista prese il posto di quella di “redenzione”, alla faccia del principio dell’autodeterminazione dei popoli a cui si erano ispirate le nostre guerre risorgimentali, compresa quella mondiale, che qualcuno chiama quarta guerra del risorgimento italiano.

L’Italia non soltanto pretese l’annessione del Sud Tirolo, ma negli anni del fascismo vi impose un’italianizzazione forzata, come del resto aveva fatto nelle valli slovene del Goriziano. E, per cancellare ogni traccia della storia passata, decise di cambiare anche la toponomastica della regione.

Per la verità, questa operazione fu soltanto completata dal fascismo, appena salito al potere, ma ebbe inizio già anni prima, sotto gli ultimi governi Giolitti. In quegli anni fu elaborato un “Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige”, di cui fu principale redattore Ettore Tolomei. Quello studio contiene l’elenco di 16.735 toponimi italiani del Sud Tirolo. Alcuni – come Bolzano, Merano, Salorno – preesistevano all’intervento di Tolomei; altri furono ricavati dalla trascrizione della pronuncia italiana del toponimo tedesco o da nomi italiani foneticamente somiglianti; per altri si ricorse alla traduzione pura e semplice del toponimo tedesco (Niederdorf, così, divenne Villabassa). Tutti gli altri furono semplicemente inventati dalla fantasia fervida di Tolomei. È una pura invenzione di Tolomei anche il nome della Vetta d’Italia, che lui volle chiamare così, perché considerato il monte più settentrionale del nostro Paese, ma che in realtà fin prima si chiamava Glockenkarkopf.

Anche il nome Alto Adige non ricorre storicamente nella toponomastica del Sud Tirolo: era stato inventato nel periodo di dominazione napoleonica e Tolomei, che inizialmente voleva chiamare la provincia di Bolzano “Alto Trentino”, alla fine optò per la soluzione francese, che gli parve migliore. Per quella scelta, fatta allora da Tolomei, l’Italia oggi chiama Alto Adige la provincia di Bolzano, che peraltro avrebbe corso il rischio di chiamarsi anche Alto Trentino.

Di tutto questo ne stiamo parlando, perché oggi si riunisce la Commissione paritetica Stato-Provincia autonoma di Bolzano, detta anche Commissione dei Sei, che dovrà decidere il destino di una parte dei nomi “italiani” delle località del Sud Tirolo. Lo statuto di autonomia della Provincia di Bolzano, infatti, prevede l’obbligo di bilinguismo assoluto, ma non anche di “binomismo”. Insomma, in tutte le istituzioni pubbliche della provincia si deve poter parlare in tedesco e in italiano, ma lo stesso non dovrebbe valere per la toponomastica.

C’è il rischio (o la probabilità) che oggi la commissione decida l’abolizione di circa 1.500 nomi italiani di luoghi, che quindi in futuro avranno soltanto il toponimo tedesco. È una scelta giusta o sbagliata? E, soprattutto, è una scelta opportuna?

La prospettiva ha suscitato reazioni nella componente italiana del Sud Tirolo e in particolare nelle forze politiche del centro-destra. Alessandro Urzì, consigliere provinciale, ha parlato di una “vera e propria pulizia etnica”. Altri hanno sollevato obiezioni di ordine pratico, anche le più stravaganti. Per esempio, la difficoltà per gli italiani di pronunciare toponimi della “impronunciabile” lingua tedesca o il rischio di smarrire il sentiero in montagna, non trovando più il toponimo italiano. Sono osservazioni ridicole, perché altrimenti avremmo ogni anno centinaia di italiani dispersi in montagna, perché si sono avventurati lungo sentieri svizzeri o sulle Alpi Occidentali, dove i toponimi sono in gran parte in francese.

Resta invece la questione fondamentale se, come dice Urzì, non si tratti di una “pulizia etnica”, identica, ma in termini capovolti, a quella fatta dall’Italia cento anni fa nei confronti della popolazione locale tedescofona. Il blog di oggi susciterà reazioni di vario genere. C’è, ad esempio, chi sosterrà che “l’Alto Adige è Italia è quindi è giusto che vi si parli italiano e che i nomi dei paesi siano italiani”. Non è così. Dopo la Seconda guerra mondiale, per ragioni geopolitiche su cui non vogliamo addentrarci, i vincitori decisero di lasciare il Sud Tirolo all’Italia, imponendo però particolari condizioni di autonomia, che ebbero poi una faticosa applicazione. È, quindi, per ragioni di diritto internazionale – e non per una graziosa concessione del nostro Paese – che il Sud Tirolo gode del trattamento speciale che conosciamo e che lo rende differente dalle altre Regioni italiane a statuto speciale.

Ma questa specialità può arrivare fino al punto da modificare i nomi sulla carta geografica? Quale che sia la risposta, non potrà essere soddisfacente per tutti. La componente maggioritaria di lingua tedesca del Sud Tirolo è più che giustificata nel voler vedere ripristinati i nomi storici della sua terra, dopo le umiliazioni subite negli anni del feroce nazionalismo italiano. Ma da allora è trascorso quasi un secolo. È davvero necessario e soprattutto a chi giova riaprire quelle ferite?

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