Domenica 19 Maggio 2024

17.01.20 01 Strache a Washington - CopiaSolo gli stupidi non cambiano opinione. Heinz-Christian Strache, leader dell’Fpö, il partito della destra liberalnazionale austriaca, stupido non è e per questo talvolta cambia opinione. Non lo fa molto spesso, ma lo fa comunque su questioni fondamentali della politica austriaca. L’esempio più eclatante viene dalle recenti prese di posizione in materia di Unione Europea e di euro: inizialmente contrassegnate da scetticismo e contestazione (ricordate le richieste di referendum popolari avanzate cavalcando l’onda dell’euroscetticismo?), cui aveva fatto seguito una rapida retromarcia.

Ieri Strache ha manifestato un altro “cambiamento di opinione” su uno scenario internazionale oseremmo dire strategico, perché riguarda insieme l’Unione Europea, la Nato, la politica europea di difesa e perfino il nucleare. Che cosa ha detto Strache? Citiamo la sua dichiarazione all’agenzia giornalistica austriaca Apa: “Credo che l’Europa farebbe bene a dire perché dobbiamo essere parte della Nato. Facciamo al contrario un esercito europeo di difesa, facciamo in modo di essere noi ad assicurarci la nostra difesa”.

È chiaro che la nuova presa di posizione del leader austriaco va messa in relazione con le recenti dichiarazioni di Donald Trump sull’Europa e la Nato. Il nuovo presidente americano non sarebbe più disponibile a sostenere le spese maggiori – in termini assoluti e in percentuale del Pil – per garantire la sicurezza dell’Europa e vorrebbe lasciare la Nato al suo destino, invitando gli alleati a farsene carico, destinando ad essa maggiori risorse del loro bilancio.

Secondo Strache questa è una occasione da non perdere, affinché il vecchio continente prenda nelle proprie mani il suo destino, costituendo un esercito europeo. Precondizione, naturalmente, sarebbe l’uscita dalla Nato di tutti gli Stati membri. L’Austria non lo è, in quanto Paese neutrale, ma potrebbe aderire a una forza armata europea, con esclusivi compiti di difesa. L’alternativa, secondo Strache, sarebbe quella di “rimanere sotto il comando geostrategico americano, che ha sempre i propri interessi da tutelare e la propria industria bellica da finanziare”.

Siamo, come si vede, in presenza di una rivoluzione copernicana. Perché la difesa armata è un elemento essenziale della sovranità nazionale. Affidarla all’Unione Europea equivale a rinunciare a una parte della propria sovranità, com’è già avvenuto con l’euro. Sono molti a ritenere che, soprattutto nei tempi difficili che stiamo attraversando, ci sarebbe bisogno di più Europa e non di meno Europa. Ci sarebbe bisogno, cioè, di un’Europa con una propria unitaria politica estera e di sicurezza.

L’Fpö fino a ieri sosteneva il contrario. Sosteneva, cioè, un’Europa delle nazioni, limitandone le competenze al campo commerciale o poco più. Non troppo tempo fa Harald Vilimsky, eurodeputato dell’Fpö, aveva definito l’esercito europeo come “una proposta scaturita dalla distilleria delle idee balzane”. Herbert Kickl, teorico dell’Fpö ed estensore dei discorsi di Strache (come un tempo lo era stato di Haider) aveva definito una simile ipotesi “indegna”. Lo stesso parere era stato espresso nell’autunno scorso anche da Strache.

Ed ecco ora il colpo di scena. Non soltanto il leader della destra austriaca auspica un esercito europeo, ma ipotizza addirittura che possa essere dotato di armi nucleari. Il che ha una sua logica: in assenza di un ombrello nucleare americano, occorre che l’Europa se ne faccia uno proprio. Meno logico è che a proporlo sia proprio l’esponente di uno di quei partiti che vorrebbero mettere in soffitta l’Ue.

Ma è davvero così o è ancora così? Heinz-Christian Strache condivide ancora la linea antieuropeista dei Salvini, delle Le Pen, dei Wilders? La domanda è legittima, dopo il raduno di gennaio a Coblenza dei partiti della destra europei, che avevano auspicato un effetto domino della Brexit e “la fine dell’Europa”. In Italia pochi hanno fatto caso che a quel raduno c’erano tutti i leader populisti d’Europa, ma non quello austriaco.

Certo, l’Fpö c’era nella città sul Reno, ma rappresentato soltanto da Harald Vilimsky che, con tutto il rispetto per lui, non è proprio l’uomo più rappresentativo del partito. Mancava il leader nazionale Strache, mancava il numero due Norbert Hofer, reduce dalla recente campagna presidenziale, mancava persino il numero tre Herbert Kickl. I principali esponenti della destra austriaca avevano preferito proprio in quei giorni attraversare l’Atlantico, per partecipare alla cerimonia di insediamento di Trump (peraltro non nella tribuna d’onore degli ospiti illustri, ma confusi tra la folla). A Coblenza, con Salvini & Co., avevano mandato una riserva.

Una scelta che ora, alla luce delle ultime dichiarazioni di Strache, assume un più chiaro significato. Forse riusciremo a capirne di più sabato, quando si riunirà il congresso nazionale dell’Fpö, che dovrebbe rieleggere alla guida Strache (in carica ormai ininterrottamente dal 2005). L’assemblea si terrà a Klagenfurt e servirà anche a celebrare ufficialmente la riunificazione del partito della destra austriaca, che in Carinzia aveva avuto una rappresentanza politica autonoma, dopo la scissione provocata da Haider ormai 12 anni fa.

 

NEL SELFIE, Heinz-Christian Strache (primo a sinistra) al giuramento di Donald Trump al Campidoglio di Washington. Come si vede chiaramente, una posizione non proprio in prima fila alla cerimonia.

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