Sabato 18 Maggio 2024

13.05.08 Maria FekterIn Austria i nodi stanno venendo al pettine. I nodi della finanza pubblica, intendiamo dire. Nel dicembre 2012 il governo aveva varato una manovra finanziaria da 26,5 miliardi, spalmata su tre anni, che nel 2016 avrebbe dovuto portare il bilancio dello Stato in pareggio (un bilancio che si aggira sui 140 miliardi di euro). Fin dall’inizio quel piano finanziario era apparso poco credibile, perché basato soprattutto sul ”Prinzip Hoffnung”, sul “principio della speranza”. Speranza in fonti di entrata non del tutto certe.

 

Un po’ come da noi, quando a copertura delle spese si mettono in conto i proventi che deriveranno dalla lotta all’evasione. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere? Qualcosa del genere emergeva anche dalla manovra finanziaria austriaca del 2012, impostata dall’allora ministra Maria Fekter.

 

Alcune di quelle speranze si sono avverate, altre no. Per esempio, il gettito previsto una tantum dall’accordo con la Svizzera sulla tassazione dei capitali austriaci nascosti nelle banche elvetiche ha dato risultati positivi e in tempi insperatamente brevi. Altre speranze, invece – quale l’introduzione della Tobin Tax a livello europeo – sono andate deluse. E di conseguenza non soltanto il bilancio 2012 si è chiuso con un disavanzo di 7,8 miliardi (risultato scontato, perché la manovra finanziaria non aveva ancora sortito i propri effetti), ma anche il bilancio 2013, di cui ancora si sa poco, dovrebbe chiudersi con una perdita individuata qualche tempo fa in 7,4 miliardi, ma probabilmente superiore.

 

Per tutto il 2013 la ministra Fekter aveva lasciato intendere che i conti erano in ordine, rifiutandosi di riferirne in Parlamento. Dire la verità fin da subito avrebbe potuto nuocere ai partiti di governo alla vigilia delle elezioni politiche di settembre. Ma anche tacere non è servito granché, visti i risultati delle urne, da cui i partiti di governo sono usciti con le ossa rotte.

 

La Fekter non fa più parte del nuovo governo e la situazione finanziaria dello Stato si preannuncia preoccupante, tanto che ormai tutti danno per scontato che nel 2016 non sarà possibile raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio, ma neppure mantenersi al di sotto della soglia di deficit del 3% indicata dai parametri di Maastricht. Una nuova manovra finanziaria appare dunque inevitabile. E questo a prescindere dal disastro Hypo Bank, che sta comportando per l’Austria una emorragia di risorse pubbliche devastante. Il governo aveva messo in bilancio un’uscita di 5,8 miliardi per gli aiuti richiesti da tutte le banche. Invece non basteranno neppure per tappare i buchi della sola holding carinziana.

 

Un’altra previsione che si sta rivelando sbagliata riguarda l’imposta sulle banche, istituita dopo la grande crisi degli anni scorsi, allo scopo di istituire un fondo di garanzia per interventi a sostegno di banche in difficoltà. Il senso era abbastanza chiaro: far pagare alle banche, e non ai contribuenti, il costo dell’eventuale salvataggio di altre banche. Questo tributo dà un gettito annuo di 640 milioni e avrebbe procurato allo Stato quasi 7 miliardi di entrate in 10 anni. Ma la nascita dell’Unione bancaria europea farà venir meno la ragione stessa di quella imposta, perché a partire dal 2016 sarà l’Unione bancaria a intervenire in caso di insolvenza di un singolo istituto. Di conseguenza da quella data lo Stato perderà questa fonte di entrata, non potendo gravare due volte sulle banche, a livello nazionale e a livello europeo.

 

Ciò che pesa di più sui conti pubblici, tuttavia, è il “pozzo senza fondo” di Hypo Bank, in cui lo Stato ha già versato finora 4,8 miliardi. Ma dovrà versarne ancora di più se, come si discute attualmente, i “non performing loans” della holding carinziana saranno traferiti in una “bad bank” pubblica. Si stima un costo aggiuntivo che potrebbe aggirarsi sui 13 miliardi e che, proprio per il carattere pubblico della “bad bank”, andrebbe a incidere direttamente sul deficit di bilancio. Si tratta di una somma spropositata. Se la parametriamo al Pil, è come se l’Italia dovesse far fronte a un debito improvviso (sia pur diluito in più annualità) di 65 miliardi. Il debito pubblico schizzerebbe dal 76 all’84,8%. Siamo ben lontani dall’enorme debito italiano, ma è la rapidità della crescita che spaventa.

 

E spaventano, ovviamente, le misure a cui il governo austriaco dovrà ricorrere per porvi rimedio. Si parla di nuovo di una “tassa ecologica”, che suona bene, ma che significa un nuovo aumento del prezzo dei carburanti (già ritoccati due volte dal 2011). Cinque centesimi sulla benzina e 4 sul gasolio darebbero un’entrata di mezzo miliardo. Altri soldi verrebbero rastrellati da una riduzione delle pensioni (600 milioni) e da aumenti salariali più contenuti nel rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici. Ma il colpo più grosso verrebbe dalla tassazione delle mensilità extra, che in Austria sono due: non solo la tredicesima, ma anche una quattordicesima, entrambe finora esentasse. Applicando anche ad essa la normale imposizione sulle persone fisiche, lo Stato incasserebbe subito 5,5 miliardi. Una somma rilevante, ma non sufficiente. Il governo dovrà andare a cercare anche altrove. C’è chi parla di un aumento di un anno dell’età della pensione (con risparmio corrispondente di 1,4 miliardi) e di una tassa di 35 euro sui biglietti aerei (incasso di 90 milioni).

 

Quali che siano le soluzioni che il governo austriaco andrà ad adottare, i contribuenti austriaci appaiono ormai rassegnati. Alla domanda “Lei crede che il governo aumenterà le tasse per ripianare le perdite provocate da Hypo Bank”, posta in un sondaggio dell’istituto Ogm, il 79% ha risposto “sì”.

 

Nella foto, l’ex ministra delle finanze Maria Fekter, cui si deve l’ultima (ma non sufficiente) manovra finanziaria.

 

[Questo articolo è già stato pubblicato in “Realtà Industriale”, mensile di Confindustria Udine]

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