Sabato 18 Maggio 2024

Non è vero che la destra austriaca non è più così radicale come un tempo, che da queste parti significa razzista e nazionalista in senso pantedesco (non il nazionalismo austriaco, ma il nazionalismo di un’Austria parte della “Grande Germania”), incurante di apparire a volte antisemita e nostalgica del Reich. No, non è vero che oggi tutti gli “ewiggestrige” di ieri sono diventati mansueti, un po’ sovranisti alla Orban o alla Meloni, un po’ populisti alla Salvini, ma tutto sommato innocui sul fronte delle nostalgie naziste.

Purtroppo non è così. Alle volte questa destra fa risentire la sua voce e proprio dove meno te l’aspetti. L’avresti supposta nei vecchi esponenti dell’Fpö (che per questo non viene definito Partito liberale, ma liberal-nazionale), un tempo nazisti dichiarati, che in questo partito avevano trovato casa dopo la guerra.

E invece no. Questa volta sono i giovani dell’Fpö, quelli del movimento giovanile del partito che in Carinzia va sotto il nome di Freiheitliche Jugend Kärnten (Gioventù liberale carinziana) a sorprenderci con rigurgiti di un nazionalismo che si credeva superato, storicamente ingiustificato e comunque non condiviso dalle nuove generazioni.

Lo hanno fatto esponendo un manifesto di violento attacco alla minoranza slovena del Land, alla vigilia delle elezioni regionali, che si terranno il 5 marzo. Il messaggio è questo: non dare il voto all’Spö (Partito socialdemocratico), per fermare la “slovenizzazione” della Carinzia. “Facciamolo – scrivono – per i giovani della Carinzia”. Perché non diventino tutti sloveni? Sì, è questo il senso nel manifesto, che è corredato da un segnale stradale di divieto con la scritta “Koroska” (il nome sloveno della Carinzia).

L’iniziativa dei giovani dell’Fpö, riapre una ferita che si riteneva definitivamente rimarginata. Per decenni la minoranza slovena aveva subito l’oppressione della maggioranza tedescofona, che aveva assunto aspetti di violenta assimilazione nel periodo fascista e nazista, ma che era proseguita anche nel dopoguerra. Questa volta non erano più i fascisti a infierire sui corregionali di lingua slovena, ma i rinati partiti democratici, ovvero l’Spö (Partito socialdemocratico), egemone in Carinzia, e l’Övp (Partito popolare, erede del partito cristiano sociale, che nella Prima Repubblica era stato terreno di coltura dell’austrofascismo).

Lo avevano fatto in maniera subdola, per esempio fissando al 10% la soglia di ingresso al Landtag (il consiglio regionale), per evitare che il partito della minoranza slovena, l’Enotna Lista, potesse superarla ed essere rappresentato in quella sede. È questa la ragione per cui anche oggi le elezioni in Carinzia – anche le prossime del 5 marzo – prevedono una soglia di sbarramento del 5%: non è più il 10% di una volta, ma è comunque superiore al 4% previsto invece negli altri Länder e nelle elezioni politiche.

La tensione con gli sloveni aveva raggiunto il suo apice nell’autunno del 1972, con l’“Ortstafelsturm”, l’abbattimento dei cartelli stradali con i toponimi bilingui (in tedesco e in sloveno) nelle località dove maggiore era la presenza slovena, che erano appena stati installati per decisione del cancelliere di allora, Bruno Kreisky. L’azione vandalica era stata perpetrata durante la notte da esponenti dell’Fpö, ma i partiti che allora governavano la Carinzia (principalmente l’Spö, con junior partner l’Övp) non seppero reagire. E così la controversia della segnaletica stradale, di enorme valore simbolico, fu destinata a trascinarsi per altri trent’anni.

Jörg Haider, leader carismatico dell’Fpö tra il 1986 e il 2008, contribuì a gettare benzina sul fuoco. Alle ultime elezioni a cui partecipò prima della tragica morte, presentò un programma in 10 punti, l’ultimo dei quali prometteva una Carinzia “einsprachig”, una Carinzia in cui si parla “una sola lingua”: il tedesco. Fu Gerhard Dörfler, che apparteneva allo stesso partito di Haider e che gli succedette alla morte, a porre fine alla controversia. Nel 2011 riuscì a trovare un’intesa con la componente slovena del Land, riconoscendone i diritti (tra l’altro sanciti in un articolo del Trattato di Stato del 1955, fino ad allora rimasto inapplicato) e ripristinando i cartelli bilingui.

Ecco perché la sortita dei giovani dell’Fpö appare antistorica e ingiustificata, oltreché costituzionalmente illegittima e non rispettosa dei diritti delle minoranze. Il loro manifesto non prende di mira direttamente il partito degli sloveni, ma l’Spö, visto come cavallo di Troia per la “slovenizzazione” del Land. Ma in questo modo è anche una ammissione involontaria che la modifica etnica temuta non c’è, semmai accade proprio il contrario. Non c’è alcun “rischio” che la Carinzia diventi slovena, perché un secolo di assimilazione forzata o spontanea ha ridotto quella comunità oggi a poco più di 12.000 persone, su una popolazione regionale di 560.000 abitanti. Erano 137.000 nel 1818, erano scesi a 66.500 prima della Prima guerra mondiale, per ridursi progressivamente nei decenni successivi.

L’iniziativa dei giovani liberalnazionali ha suscitato immediate reazioni in Carinzia (è stato lo stesso Dörfler a condannarla) e in Slovenia. Qui il ministro degli Esteri ha inviato una “nota verbale” al governo di Vienna e ha convocato l’ambasciatrice austriaca Elisabeth Ellison-Kramer, per far sapere che Lubiana “si attende un intervento adeguato da parte delle autorità regionali e federali a tutela dei diritti costituzionali della minoranza slovena in Carinzia”. Non si tratta di un’interferenza in affari interni allo Stato austriaco, perché la tutela delle minoranze presenti in Austria (quella slovena in Carinzia, ma anche quella croata nel Burgenland) è prevista nel Trattato del 1955, che fu stipulato d’intesa con le potenze alleate (Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia). Si tratta pertanto di un atto vincolante sul piano internazionale.

Sul caso ha aperto un fascicolo la Procura di Stato di Klagenfurt, per verificare se nei comportamenti dei giovani dell’Fpö siano configurabili ipotesi di reato.

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